Nintendo The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom
Switch, Multilingue
Questo post mi è costato sudore e lacrime. Vuoi sapere perché? Perché si tratta di «The Legend of Zelda: A Link to the Past». Un gioco che odio, o meglio, odiavo. E in questo sta il succo della storia.
Non ricordo nessun altro gioco che da adolescente mi abbia fatto disperare come la ricerca quasi interminabile di quell’imbranata di Zelda. Nei panni di un Link virtuale, la dodicenne Anika si aggirava per Hyrule e trovava tutto orribile. Dalla mappa non si capiva niente (aiuto, dove devo andare? E cos’è questo Kakariko?), i controlli erano troppo macchinosi e imprecisi, i dungeon troppo difficili e gli enigmi irrisolvibili. Magari perché fino ad allora ero abituata solo ai jump’n’run. Ad ogni modo: io, o meglio Link, ero più spesso morta che viva. Il manuale di gioco di Nintendo era utile, ma in alcuni punti critici era piuttosto criptico. Quella volta non conoscevo ancora internet, quindi cercare su Google non era un’opzione praticabile.
Mi ricordo ancora oggi che ero arrivata al punto in cui la mia mini-me andava in extrasistole appena sentiva la sigletta di «Zelda». Ecco fino a che punto mi ha stressato questo gioco. Sono arrivata faticosamente al sesto dungeon del Mondo delle Tenebre, il Palazzo di Ghiaccio, e poi mi sono arresa.
Fa ancora male, oggi come 30 anni fa. Perché se c’è una cosa in cui sono davvero brava è trovare una soluzione agli intricati problemi di alcuni videogame. Ho stabilito tempi da record sulla Rainbow Road di «Super Mario Kart» e ho superato tutti i livelli di vagoni in «Donkey Kong Country». Anche se per farlo occorre più fortuna che testa.
Ma «Zelda»... No, grazie. Non avevo più toccato il gioco dalla mia sconfitta al Castello di Ghiaccio, a metà degli anni ’90. Finché non mi è capitato di parlare di «Zelda» con la collega Debbie durante una pausa pranzo. «È un gioco così spettacolare! Ho dei ricordi bellissimi di quando ci giocavo. Come fa a non piacerti?», mi ha chiesto con aria perplessa e ho iniziato ad agitarmi. Che Debbie avesse ragione? Mi sono davvero persa qualcosa? È ora di scoprirlo. E fu così che, alla tenera età di 42 anni, mi sono seduta davanti al mio Nintendo Switch per dare un’ultima possibilità a «A Link to the Past». Qui ti racconto come sono andate le cose.
Uff, dai, cominciamo. Accendo lo Switch e avvio «The Legend of Zelda: A Link to the Past». E rieccola: la temuta sigletta iniziale. Mi si rizzano automaticamente i peli sul collo, non sto scherzando. Bevo un sorso di caffè e faccio un bel respiro. Sono di nuovo Link, un omino pixelato armato di un piccolo scudo e di un altrettanto minuscolo spadino. Un rapido sguardo alla mappa e parto decisa in direzione del castello di Hyrule alla ricerca di Zelda.
Ma una volta arrivata lì, mi ricordo di una cosa: devo posizionarmi frontalmente rispetto agli avversari per colpirli bene. E con i comandi «scorbutici» di SNES online non è semplicissimo. Infatti, o mi trovo in mezzo al nemico (e quindi sono morta), o gli vado troppo vicina (e anche qui, sono morta), o gli do le spalle e vengo attaccata (e muoio di nuovo). Mi servono un paio di tentativi per prendere confidenza con i comandi, ma poi funziona tutto sorprendentemente bene. Libero Zelda e la porto dal sacerdote, che mi dice di prendere tre amuleti dai dungeon del Mondo della Luce.
Dopo una rapida puntatina al villaggio di Kakariko, mi dirigo verso il Palazzo dell’Est. Qui mi viene dato dell’altro equipaggiamento, un arco e delle frecce, e prima che me ne accorga sono già di fronte al boss finale. O meglio i sei boss finali, i Grand’Armos. Sono sei individui in armatura che saltano girando in cerchio e cercano di schiacciarmi. Ricordo che quella volta mi avevano dato del filo da torcere. La vista dall’alto sull’azione mi confondeva. E facevo davvero fatica a guidare Link in modo da non essere calpestata dai Grand’Armos. Questa volta ci riesco al primo tentativo. Prendo la mira con l’arco e le frecce, un paio di colpi li sbaglio ma molti altri vanno a segno e... fine. Primo amuleto conquistato.
Va altrettanto bene con gli altri due dungeon del Mondo della Luce. Attraverso decisa il Palazzo del Deserto e la Torre di Hera come se non avessi mai fatto altro nella vita. Occasionalmente mi capita persino di sorridere. E quindi inizio a chiedermi: «Anika, che cosa è successo che ha reso questo gioco improvvisamente così facile e divertente per te?». Forse perché non ho più gli ormoni stressogeni dell’adolescenza e sono più rilassata di un tempo. Ma magari è anche perché ho giocato moltissimo a «World of Warcraft» circa 10 anni fa, che è ovviamente molto più complesso. Se confronto la mappa del mondo di «WoW» con quella di «Zelda» del 1991 c’è una differenza abissale. Rispetto ad Azeroth, Hyrule è un villaggio. Quindi è probabile che la mia soglia di frustrazione verso i videogiochi si sia notevolmente alzata.
A ogni modo, nel Mondo della Luce mi manca solo la Spada Suprema, che estraggo da una roccia come Re Artù, e il boss finale. Agahnim si è trincerato nella Torre del Castello di Hyrule. Naturalmente, il mago si salva all’ultimo minuto e trascina Zelda nel Mondo delle Tenebre, ma questo lo sapevo già in anticipo.
Prima di proseguire nel Mondo delle Tenebre, farò qualche confessione. Di sicuro ti starai chiedendo se mi sono aiutata con qualche trucco per risolvere con più facilità i miei piccoli «traumi da Zelda».
Certo che SÌ! È una cosa che faccio e che continuerò a fare. Sono estremamente riconoscente per le conquiste della tecnologia moderna e per il fatto che posso «riavvolgere il nastro» e recuperare i momenti di gioco fallimentari con Nintendo Online. Così risparmio tempo e arrabbiature. E come ben sai, in passato mi sono innervosita spesso e non ho bisogno di complicarmi inutilmente la vita.
Decisamente sì, anche in questo caso! Un’anima persona ha scansionato la guida al gioco originale e me l’ha inviata via e-mail, quindi ora ce l’ho sempre a portata di mano sul mio iPad. Ho poi scoperto anche il sito web zeldachronicles.de (in tedesco), che fornisce istruzioni passo passo per tutti i dungeon e per la ricerca dell’equipaggiamento. Non ho usato molto il sito per il Mondo della Luce, ma sono sicura che lo adorerò per il Mondo delle Tenebre.
Per niente.
Con caffè, brioche alla cannella, birra e pizza. Mi calma anche avere vicino mia cugina, che è una grande fan di Nintendo come lo sono io. E che, a differenza mia, da ragazzina è arrivata in fondo a «The Legend of Zelda: A Link to the Past» senza YouTube, solo con il manuale di gioco. Quindi sa cosa fare. O almeno spero.
Ed eccomi lì, in piedi sulla piramide del Mondo delle Tenebre. E di colpo mi ritorna in mente che da qui in poi il gioco si fa davvero complicato. Riaffiorano cupi ricordi di frustranti serate trascorse nella mia cameretta, con tanto di drammatici lanci del controller contro il muro. Gulp. Questa volta voglio fare di meglio e, in via precauzionale, apro il manuale di gioco. Aha, devo procurarmi prima l’amuleto della terra e l’amuleto dell’aria. Nessun problema, facciamo subito. Ma appena mi avventuro nelle nuove terre, mi rendo conto che non è una passeggiata. Gli avversari sono ancora più aggressivi che nella Torre del Castello. Mi basta tirare un colpo per perdere due cuori di energia vitale. In effetti questo potrebbe creare qualche problema.
Ma mi dirigo comunque verso il primo palazzo del Mondo delle Tenebre che, con grande fantasia, hanno chiamato Palazzo Cupo. Haha, che spiritosi che siete, voi della Nintendo. Ma dopo una prima visita veloce, è chiaro che qui si riderà ben poco. Il palazzo è grande, complicato e comincio a chiedermi se sia stata un’idea così furba. A chi sto cercando di dimostrare qualcosa? Ah, giusto, a me stessa. Bene, Anika. Benissimo, anzi. Per fortuna oggi è tornata a trovarmi mia cugina che, per calmarmi, mi sventola sotto al naso una brioche alla cannella appena sfornata. Sbaf. Va decisamente meglio. E da qui in poi prende il ruolo di copilota. Il che vuol dire che mi fa da guida attraverso il Palazzo Cupo, così io posso concentrarmi sui nemici senza dover guardare contemporaneamente la mappa, YouTube, il manuale di gioco e la guida online. E in effetti la cosa funziona.
Nel giro di un giorno e mezzo giocando in coppia ci facciamo strada, ridendo e scherzando, attraverso due terzi del Mondo delle Tenebre. Collezioniamo rubini, cristalli ed esperienze. Ovviamente di tanto in tanto qualcosa va storto. Ad esempio, perdiamo un bel po’ di tempo a vagare intorno alle cascate finché non troviamo il re degli Zora, esseri simili a pesci, e riusciamo a prendere le pinne. E non recuperiamo nemmeno tutti i cuori del Mondo delle Tenebre. Per il semplice fatto che a) non abbiamo voglia, ad esempio, di scavare nel giardino del tesoro nella Tana dei Ladroni per 17 volte e b) perché possiamo sempre ripartire da capo quando Link muore. Hihi.
In questo modo risparmio un sacco di tempo e all’improvviso mi trovo di fronte al mio nemico finale personale: il Castello di Ghiaccio. Il mio umore passa da solare a gelido. Questo era il punto in cui, da adolescente, mollavo sempre. Appena sento la tremolante musichetta di sottofondo del dungeon mi vengono letteralmente i brividi lungo la schiena. Ma anche qui mi viene in aiuto la mia copilota, con i suoi modi da maestrina. «Anika, dai, il palazzo non è così poi grande. Ha solo tanti piani. E comunque il boss non è così difficile da battere», mi rassicura. «Per sicurezza, vuoi un’altra brioche alla cannella per calmarti un po’?». Sì, che la voglio! Lasciatemi ripetere che, anche a 30 anni di distanza, non sono ancora a mio agio nel Castello di Ghiaccio. E persino la mia cuginetta, super cool ed esperta, fa molta fatica a orientarsi e a trovare le istruzioni giuste nel manuale di gioco. «La mappa qui è stampata così in piccolo. Non riesco a vedere bene. Puoi tornare indietro un attimo? Ci dev’essere un interruttore da qualche parte», mi chiede dopo un’ora di girovagare senza meta nell’inferno di ghiaccio. No, non posso e soprattutto non voglio tornare indietro. FATEMI. USCIRE. DA. QUI.
Mi trovo finalmente di fronte ad Augenfrost, il boss finale. Una volta che l’ho fatto fuori, per me il gioco è praticamente finito. Il boss che mi terrorizzava a morte è sconfitto. Mi balena in mente l’idea che ora potrei semplicemente fermarmi. «Sono arrivata più avanti di quanto sia mai andata. Per quale motivo dovrei stressarmi ancora?», si chiede il mio cervello. Intanto io e mia cugina ordiniamo una pizza. Dopo di che decidiamo di rimandare la continuazione di «A Link to the Past» a data da destinarsi.
Ammetto che dopo il Castello di Ghiaccio, trovo difficile motivarmi a finire il resto del gioco. Concedo che, alla fine, è risultato più divertente di quanto mi aspettassi. Ma non c’è più nessuna ragione di sfida. Non aiuta anche il fatto che mia cugina non abbia molto tempo. Quindi passano ben due mesi prima che ci incontriamo per l’ultima missione di salvataggio di Zelda. Ci mancano ancora due dungeon e il boss finale del Mondo delle Tenebre.
Gli ultimi due palazzi del Mondo delle Tenebre, il Palazzo della Palude e la Rocca Tartaruga, non sono degni di nota. Io e mia cugina siamo una squadra collaudata. Lei fa da navigatore, io mi districo tra i dungeon. Tranne quando bisogna accendere in fretta delle torce in una certa sequenza per aprire delle porte. In quel caso cedo il controller alla parente. Sono troppo poco paziente per queste cose, mentre mia cugina ci riesce sempre senza problemi. Suddivisione del lavoro perfetta.
Ci manca solo il combattimento finale contro il boss, che dobbiamo anche trovare. Per prepararmi, mi guardo dei video su YouTube su come sconfiggere Ganon. Il combattimento sembra poco ispirato. Per prima cosa devo colpire Ganon alla testa con la spada, poi lanciargli contro qualcuna delle mie frecce d’argento. Ok, quindi niente di nuovo. Non al top della motivazione mi preparo per l’ultimo capitolo della mia personale saga di «Zelda»...
E anche la mia copilota sembra essere a corto di energie. Anche se la torre di Ganon è il labirinto più labirinto che ci sia, sospira: «Devi andare avanti da sola. Non mi ci raccapezzo, mi dispiace», e sparisce in cucina per farci un caffè. Nessun problema. Ormai ho un’esperienza sufficiente per aiutarmi da sola. Dopo un po’, mia cugina torna con due fumanti tazze di caffè e mi guida attraverso le ultime stanze prima di affrontare Ganon. Il che dovrebbe essere un gioco da ragazzi. Almeno in teoria.
Invece, SORPRESONA! YouTube mente. Non so come il tizio di questo video sia riuscito a uccidere Ganon in meno di tre minuti. So solo che dev’essersi esercitato molto o che è un drago a montare i video. Perché Ganon è davvero tosto! Non solo perché si teletrasporta di qua e di là. Mi tocca anche cambiare continuamente armi per riuscire a ferirlo. E in effetti passo più tempo a premere X sul controller che a combattere contro il boss. Come se non bastasse, succede la cosa che so fare meno di tutte: mi trovo improvvisamente al buio e devo accendere le torce per riuscire a vedere Ganon. Purtroppo, nel bel mezzo di un combattimento contro il boss non posso cedere il controller a mia cugina, per cui sono costretta ad agire da sola. Ed è evidente che non me la sto cavando benissimo, perché dal divano lì vicino arriva un timido: «Vuoi che ci provi io?». Detto con la migliore delle intenzioni, ovviamente, ma prima che si spenga il mio ultimo cuore virtuale, colpisco Ganon con un’ultima freccia d’argento.
Incredula, fisso prima il televisore e poi mia cugina. Che ricambia lo sguardo con gli occhi sgranati. Ce l’abbiamo fatta! Ganon è sconfitto, Zelda è salva e Hyrule è libera. E anche io sono libera. Libera dal mio trauma legato a «Zelda». E la mia amata cuginetta? Con lei sono in debito di molto più di una pizza XXL.
Ora sono guarita. Da allora non ho più toccato «A Link to the Past» e non ho intenzione di farlo. Per me il gioco è finito. Non ha più niente da darmi.
Ma la vera novità è che ora sono una fan di «Zelda»! Mi piace il modo in cui il gioco premia la strategia, l’abilità e la tenacia. E il fatto che non devo «solo» correre e saltare come in «Super Mario Bros.». Ecco perché sto provando anche il nuovo gioco «The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom». Ma di questo ti parlerò in un altro articolo.
The End.
Da bambina ho socializzato con Mario Kart su SNES prima di diplomarmi e catapultarmi nel mondo del giornalismo. In qualità di team leader da Galaxus, sono responsabile delle novità. Trekkie e ingegnere.