Retroscena

Da Black & Blaze ascoltiamo ogni chicco di caffè

Nel piccolo locale di torrefazione di Ebmatingen, nel Canton Zurigo, viene dato molto valore alla personalità: che sia tra i colleghi, nel rapporto con i contadini o dei chicchi stessi.

I prati e gli alberi sono coperti di neve, solo l'asfalto scuro della strada sbircia fuori dal paesaggio bianco. In questa strada di Ebmatingen si trova la destinazione. Il fumo bianco del camino si alza dalla casa modesta, inebriando l’aria circostante. Profuma di cacao, di aromi tostati, dell'invitante salotto caldo in cui vorresti essere quando invece ti trovi fuori al freddo.

«Black & Blaze» è la società responsabile di questo buon odore. Non è una fabbrica di cioccolato, ma un piccolo locale di torrefazione di caffè. All’interno l’odore è meno intenso, ma visivamente allude tutto al caffè. Sacchetti di chicchi di caffè verde provenienti da tutto il mondo, macchine da caffè, macinacaffè e caffè filtro appena preparato. «È il mio preferito da bere», dice Liri, collaboratore pluriennale e socio di Claude. «È delicato, con un accento di acido fruttico e dal sapore complesso. Da non confondere con il caffè filtro che si beveva dalla nonna». Dietro ai chicchi si celano un sacco di elucubrazioni e altrettanti tentativi di torrefazione falliti.

Il tutto ha inizio dieci anni fa, grazie ad un viaggio intorno al mondo intrapreso dal fotografo Claude. Mentre esplorava il Sudafrica, ha scoperto per caso un micro locale di torrefazione in cui veniva fatto anche il caffè filtro. È talmente entusiasta che una volta tornato in Svizzera si mette subito alle prese con un tostacaffè e fonda Black & Blaze. Circa tre anni dopo, si aggiunge Liri. Da allora acquisiscono costantemente conoscenze teoriche e pratiche. Black & Blaze oggi è composta da una squadra di più persone. «Abbiamo bisogno di ognuno per far sì che il nostro caffè sia davvero il nostro caffè», dice Liri.

Uomo e macchina lavorano insieme

«Il chicco di caffè è un prodotto naturale. Nessuna coltura si comporta esattamente come l'ultima, tantomeno le diverse varietà. Come torrefattori, abbiamo quindi il compito di trattare ogni unità individualmente per ottenere il meglio», racconta Liri. Roni, dietro al tostacaffè, mostra subito cosa significa: i chicchi vengono ascoltati. «Durante la tostatura si può sentire il cosiddetto first crack, quando i primi chicchi si aprono – non possiamo perderci quel momento», spiega Roni. Dopodiché, a seconda del grado di tostatura desiderato, i chicchi rimangono nel tostacaffè per qualche minuto in più, prima di essere raffreddati». La macchina controlla accuratamente il tempo e la temperatura, mentre l'essere umano contribuisce con l'esperienza e l'individualità. «Solo con questa interazione possiamo ottenere la qualità che vogliamo», spiega Liri.

Il loro slogan dimostra quanto questo sia importante: «Best Coffee in Town». Ciò che può sembrare arrogante inizialmente, è più che altro un incentivo per loro. «Dobbiamo sempre tenere a mente ciò che promettiamo ai nostri clienti, la qualità che ogni sacchetto di caffè deve offrire», dice Liri. Oltre alle caratteristiche dei chicchi raccolti, occorre prestare attenzione anche all'uso previsto. La miscela sarà poi utilizzata per il caffè filtro, la macchina con portafiltro o una macchina da caffè completamente automatica? «Per il caffè filtro, Black & Blaze utilizza chicchi di altissima qualità, la tostatura tende ad essere chiara per liberare tutti gli aromi e non bruciare nulla. Alla fine, un caffè filtro ha quasi più cose in comune con il tè che con l’espresso». Per l’espresso, i chicchi vengono tostati più a lungo: si vogliono ricavare note forti. E il caffè per la macchina completamente automatica? «Il frutto del caffè, in quanto prodotto naturale, non ha mai la complessità che usiamo per il caffè filtro».

Questo frutto non proviene dalla Svizzera innevata, bensì dai paesi tropicali. Black & Blaze si rifornisce di chicchi di caffè, che vengono commercializzati nel modo più equo possibile, provenienti dalle classiche regioni di coltivazione come l'Etiopia, l'Honduras e il Brasile, oltre a quelle meno conosciute come l'India. Lavorano direttamente con un'azienda familiare. «La ricerca dei migliori caffè verdi del mondo mi ha portato nell'India orientale, sulle colline degli "Eastern Ghats", ad Araku. Sotto il dominio coloniale britannico, i coltivatori Adivasi venivano pagati una manciata di rupie per portare i loro chicchi di caffè alle stazioni di raccolta del governo, dove il prodotto grezzo di scarsa qualità veniva poi introdotto sul mercato mondiale. Con il crollo del dominio inglese scomparvero anche le stazioni di raccolta e con loro le poche rupie guadagnate. Circa dieci anni fa la «Naandi Foundation» ha iniziato ad insegnare alle singole famiglie il mestiere della coltivazione biodinamica del caffè. Il successo è arrivato molto presto: i raccolti sono stati convincenti nel mondo delle specialità di caffè», racconta Liri.
Questi chicchi di caffè raggiungono il locale di torrefazione svizzero in un container di spedizione inviato dalla fattoria stessa, senza coinvolgere intermediari.

Identità proveniente da lontano

Questo lungo viaggio talvolta viene quasi dimenticato. Il caffè fa parte della nostra identità da tanti anni. Da un bene di lusso inizialmente aristocratico, passando per la sua diffusione nelle caffetterie, è diventato la bevanda onnipresente che degustiamo oggi. Siamo già alla terza ondata, come scrive il collega Simon Balissat. Questa si definisce in base alla qualità, alla complessità e all'individualità del caffè e dei suoi consumatori. Qui la bevanda viene raffinata e bevuta, ma di tutto ciò che c'è prima non abbiamo il controllo diretto: «Grazie al crescente interesse per la responsabilità sociale ed ecologica, oggi c'è almeno un po' di trasparenza nell'enorme mercato del caffè», dice Liri. Le etichette promettono che gli agricoltori vengono trattati e pagati correttamente, che la frutta non viene coltivata in monocolture dannose per l'ambiente e che la coltivazione ad alta intensità d'acqua non viene effettuata in regioni in cui l’acqua scarseggia. Black & Blaze ci tiene molto al commercio più equo possibile del suo caffè. Per questo motivo siedono anche nelle giurie di controllo della qualità delle aziende agricole stesse, per valutare i risultati del raccolto e, se necessario, per ottimizzare i processi insieme agli agricoltori. «Il mercato del caffè è enorme ed esiste da molto tempo, perciò non è trasparente in tutti gli aspetti, altro motivo per cui l’importazione autonoma del caffè è di così grande interesse per noi».

Questo contatto diretto con gli agricoltori non è importante solo per il commercio equo e solidale, ma ha anche un valore personale. «Ogni anno, qualcuno del team visita una delle aziende agricole partner. Per entrambe le parti questo contatto è istruttivo e bello», dice Liri. «Vediamo come lavorano i contadini, come tutta la famiglia aiuta, quanto sono orgogliosi del loro prodotto. Gli agricoltori hanno la sensazione di essere presi sul serio, vedono dove vanno a finire i loro raccolti e cosa ne viene fatto». Una volta che i chicchi sono tostati al punto giusto, Roni li confeziona nei sacchetti da 250 g dal marchio nero. «Lo faccio sempre nel frattempo. Imposto sempre anche un timer, però, in modo da non perdere nessun passaggio della tostatura». I sacchetti viaggiano lungo un nastro trasportatore blu in scatole di cartone, poste su una costruzione di legno fatta da loro. Sopra di essa, sulla parete bianca, è appesa una colorata trilogia di collage. Il tocco personale nella sala di torrefazione.

La miscela di atmosfera familiare con il fascino dell'inventore, il pensiero di qualità e l'ambizione economica sembra funzionare. In uno dei tanti eventi a cui hanno partecipato nel corso degli anni con il loro caffè, incontrano Andreas Caminada e iniziano a conversare con lo chef stellato: «Ci ha raccontato del suo progetto allo Schloss Schauenstein, che preferisce utilizzare prodotti locali, per cui ha integrato il suo panificio, e preferirebbe anche avere un caffè proprio». Il progetto ha preso piede e Monika arrostisce già da un po’ i chicchi direttamente nel castello Schauenstein di Fürstenau, nel Cantone dei Grigioni.

Caldo e rumoroso

Nel locale di torrefazione di Ebmatingen, Roni ha nel frattempo raggiunto l'ultimo turno. La stanza è calda e i profumi delle varie miscele di caffè riempiono l'aria. Liri rimuove quelli che sembrano piccoli trucioli di legno da un contenitore che ricorda un camino, posto vicino al tostacaffè. «Appena in tempo. Durante la tostatura, le sottili bucce argentate dei chicchi di caffè si staccano e finiscono qui dentro. Se non si svuota regolarmente, intasano il camino e diventano sempre più caldi fino a prendere fuoco e, nel peggiore dei casi, incendiano l'intero locale di torrefazione», dice con tono di esagerazione. Oggi la quantità di bucce è particolarmente elevata perché sono stati tostati quasi esclusivamente chicchi lavati. «Ci sono diversi metodi di preparazione. Il lavaggio viene effettuato solo nelle regioni ricche di acqua: le bucce argentate rimangono su gran parte dei chicchi, il che comporta più rifiuti organici durante la torrefazione. Con l'altro metodo, l'essiccazione, la maggior parte si stacca durante il processo».

Nel frattempo, gli ultimi chicchi raffreddati nel tamburo vengono risucchiati verso l'alto in un condotto dell'aria in modo da poterli poi riempire in contenitori bianchi. Come il resto della tostatura, è un passaggio rumoroso: «Quando torno a casa dopo una giornata nella torrefazione, devo prima sdraiarmi sul divano in completo silenzio per mezz’ora», racconta Roni. Serve tranquillità per contrastare tutti quei rumori. Del caffè, invece, non se ne può avere abbastanza: sono un paio le brocche di caffè filtro destinate al consumo personale. Comprensibile, quando si è inebriati dal profumo di chicchi appena tostati tutto il giorno – e con questo freddo, non c’è niente di più bello che riscaldarsi bevendo una tazza del proprio caffè.

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