Meta sotto pressione – parte 1: come ha fatto Facebook a diventare così out
23/8/2022
Traduzione: Leandra Amato
Si moltiplicano i titoli negativi su Meta e sui suoi marchi Facebook e Instagram. Mark Zuckerberg è sull'orlo del baratro? Prima parte di una serie sui problemi del gigante tecnologico.
La domanda preregistrata del povero e sprovveduto Gary di Chicago, durante una metasessione virtuale, è arrivata nel momento peggiore. Prima di ciò, Mark Zuckerberg, il sovrano intoccabile di Meta, si era scatenato in un discorso: è ora che i dipendenti tornino a lavorare di più ed essere disponibili per le riunioni durante i giorni lavorativi. E comunque: «Realisticamente, in questa azienda ci sono molte persone che non dovrebbero essere qui». L'atmosfera era quella del seminterrato. E i giorni liberi di Gary? Annullati.
L'episodio è sintomatico di un'inversione di tendenza da Meta. Gli anni d’oro sono finiti, il futuro è incerto. L'impero di Zuckerberg è sotto pressione da ogni parte: Facebook ormai è out. Instagram sta ricevendo critiche pesanti dalle sue star influencer per aver alienato le sue radici. Tiktok sta drenando dollari pubblicitari da entrambe le piattaforme e Meta sta cercando disperatamente di salire sul carro dei brevi video. A proposito di soldi per la pubblicità: Apple sembra aver dichiarato guerra a Meta, e non vorrai certo farti nemica l'azienda tecnologica di maggior valore al mondo. E il metaverso, futuro salvatore di Zuckerberg? Per ora non sembra convincere nessuno.
Che cosa è successo e che cosa succederà? Per rispondere a questa domanda, in questa serie intraprendo un viaggio nel passato, nel presente e nel futuro di Meta. Nella prima parte: come ha fatto Facebook a diventare così out.
Da «Place to be» a Boomercity
Ricordi i primi tempi di Facebook? Per me, gli anni d'oro della piattaforma hanno coinciso con i miei giorni da studente. Nel 2010, Facebook era il luogo dove connettersi con altre persone. C'erano praticamente tutti i miei amici. Il newsfeed era pieno di immagini di volti familiari. Abbiamo usato la piattaforma per qualsiasi cosa, dai post di meme all'organizzazione di feste, fino alle discussioni su pagine di materiale d'esame. Facebook era ciò che prometteva di essere: una la rete sociale.
Ne è rimasto ben poco. Quando mi collego su Facebook oggi, vedo soprattutto pubblicità, post di siti professionali e contenuti che non so nemmeno perché sto vedendo. Nel mezzo, c'è la foto occasionale di uno degli ultimi Mohicani che ancora pubblicano foto su Facebook. Di solito è più anziano di almeno una generazione. I millennial come me e i più giovani hanno abbandonato la piattaforma già da tempo. La percentuale di adolescenti che utilizzano Facebook è diminuita dal 71 al 32% dal 2014, secondo gli ultimi sondaggi. Facebook è diventato Boomercity.
Gli algoritmi onnipotenti
Per capire come ciò è potuto accadere, è necessario comprendere come gli algoritmi di Facebook siano cambiati nel corso degli anni, perché sono loro a decidere cosa vedere. Sono nati nel 2006 insieme al News Feed. L'idea di poter scorrere un feed di questo tipo sembra oggi evidente. All'epoca era rivoluzionario: non era più necessario visitare attivamente i profili degli amici per vedere cosa stavano facendo. Tutte le notizie venivano visualizzate in un unico posto.
L'algoritmo originale era molto semplice: vedevi solo le cose di persone e siti a cui eri iscritto. Le cose più nuove finivano in cima. La situazione è cambiata nel 2009 con l'introduzione del pulsante «Mi piace». Facebook ha iniziato a ordinare i post non solo in base alla frequenza, ma anche in base alla popolarità. In breve: i post con più click e più like venivano portati in cima. Questo ha portato a un'inflazione di clickbait e Facebook è stato costretto a regolare continuamente i suoi algoritmi.
Nel 2016, il valore di un post si misurava principalmente in base al tempo trascorso dagli utenti. Inoltre, il video è stato promosso come nuovo formato. Il risultato: una miriade di testi, immagini e video prodotti a livello professionale che cercavano di mantenere l'attenzione il più a lungo possibile.
Clickbait e disinformazione
Cresceva il timore di perdere utenti a favore di altre piattaforme come Snapchat, dove le interazioni sono più sociali e personali. E così Facebook ha cercato ancora una volta la salvezza modificando i suoi algoritmi. L'idea successiva: non è più il tempo a dover essere massimizzato, ma le «interazioni significative». Facebook ha ricominciato a privilegiare i post degli amici rispetto a quelli professionali. Ma con un colpo di scena: più commenti suscitava un post, più veniva mostrato.
Se stavi su Facebook durante la pandemia, probabilmente sai che effetto ha avuto questo nuovo algoritmo. La piattaforma pullulava di post controversi, disinformazione e teorie cospirative. Logico, perché questi argomenti attirano feroci battaglie di parole nelle colonne dei commenti. Questa dinamica è stata notata da professionisti che hanno creato intere troll farm per influenzare il discorso politico.
La misura in cui il nuovo algoritmo ha contribuito alla disinformazione e che anche Facebook ne era a conoscenza è stata resa nota alla fine del 2021. La whistleblower Frances Haugen ha fatto trapelare documenti di indagini interne. Di conseguenza, Facebook stesso ha stimato che potrebbe ridurre la disinformazione nella sfera politica fino al 50% eliminando «Optimization for Engagement». L'azienda ha dichiarato in un comunicato che i documenti trapelati fossero stati estrapolati dal contesto. Ma non si può negare che il nuovo algoritmo abbia premiato i post polarizzanti, fornendo così un'enorme piattaforma per i contenuti borderline.
Protezione dei dati? Quale protezione dei dati?
Gli effetti collaterali indesiderati degli algoritmi hanno causato molte critiche. Ma a danneggiare l'immagine di Facebook c’erano anche altri fattori. Infatti, aumentavano le preoccupazioni per la protezione dei dati. L'azienda si è così trasformata in una piovra che raccoglie quanti più dati possibili per creare dei profili da vendere agli inserzionisti, che possono così inserire i loro annunci in modo più mirato.
Mark Zuckerberg non ritiene che il fatto che molti utenti non lo sappiano o non lo capiscano sia un problema di Facebook. Il suo atteggiamento nei confronti della privacy è dimostrato dall’estratto di una chat con un amico agli albori di Facebook, a cui all'epoca avevano accesso solo gli studenti di Harvard:
Zuck: «Se hai bisogno di informazioni su qualcuno ad Harvard»
Zuck: «Chiedi pure. Ho più di 4000 email, foto, indirizzi».
[Nome censurato dell'amico]: «Cosa? Come hai fatto?»
Zuck: «La gente ha fornito queste informazioni»
Zuck: «Non so perché»
Zuck: «Si ‘fidano di me’»
Zuck: «Idioti»
Zuckerberg non si è espresso in modo così drastico negli anni successivi. Ma ancora oggi continua ad allontanare da sé la responsabilità della protezione dei dati. Nel 2010 ha dichiarato sull'argomento: «La gente non vuole una protezione completa dei dati. Vuole avere il controllo su ciò che condivide e su ciò che non condivide».
La sfiducia del pubblico nei confronti di Facebook ha raggiunto un picco nel 2018. Il «New York Times» e il «Guardian» hanno reso pubblico che una società chiamata Cambridge Analytica ha raccolto e utilizzato in modo improprio i dati degli utenti di Facebook su larga scala,
per influenzare le elezioni statunitensi del 2016 attraverso una pubblicità mirata. Per farlo, l'azienda ha approfittato delle norme sulla protezione dei dati di Facebook: ha fatto sviluppare da un'azienda terza un'applicazione di Facebook chiamata «This is your Digital Life», in cui gli utenti si sottoponevano a un test della personalità. 270 000 persone lo hanno fatto, condividendo con l'app non solo i propri dati, ma anche quelli degli amici, senza il loro consenso.
Questo non era illegale, ma rientrava nelle possibilità offerte da Facebook agli sviluppatori di app. Zuckerberg ha cercato ancora una volta di spostare la responsabilità, affermando che tutti questi dati avrebbero dovuto essere utilizzati solo per «migliorare l'esperienza dell'utente dell’app», secondo il regolamento di Facebook. Ma questo non ha distolto l'attenzione dal fatto che la mancanza di protezione dei dati ha aperto la porta agli abusi. Alla fine Zuckerberg si è scusato pubblicamente, ma il danno d'immagine era già stato fatto da tempo. Sulla scia dello scandalo, il capo di Facebook ha dovuto persino comparire davanti al Congresso degli Stati Uniti e affrontare domande scomode sulla protezione dei dati e sul monopolio di Facebook. Nel video si possono vedere alcuni momenti dell'udienza:
Nubi oscure sulla macchina di soldi di Zuckerberg
Tutti questi passi falsi con gli algoritmi, la disinformazione e la privacy hanno reso Facebook ciò che è oggi: un'arma che io personalmente non uso quasi più, e i miei colleghi e le mie colleghe più giovani ancora meno. La qualità dei contenuti è semplicemente troppo scarsa e i problemi di protezione dei dati sono troppo grandi. Finora non sembra che questo abbia avuto un impatto finanziario. La maggior parte dei ricavi pubblicitari di Meta proviene ancora da Facebook. L'azienda deve questo risultato a due gruppi in particolare: gli utenti più anziani e quelli dei paesi emergenti come l'India.
Ma questi non sono trendsetter. Su Facebook si addensano nubi oscure, come si evince, ad esempio, dalle statistiche sulle prime dieci applicazioni dell'App Store. Se nel 2021 Facebook è uscito dalla top ten solo per sette giorni, nel 2022 è già uscito per 97 giorni. Soprattutto i giovani che hanno uno smartphone per la prima volta installano l'app meno spesso. E sono il futuro.
La risposta di Mark Zuckerberg alla crisi? Come sempre: nuovi algoritmi dovrebbero risolvere il problema. «Discovery Engine» è il nome dell'ultimo tentativo. Maggiori informazioni nel prossimo episodio. Nel secondo episodio della mia serie, andrò innanzitutto a fondo di una delle acquisizioni di maggior successo dell'industria tecnologica, la cui storia rivela al contempo la problematica strategia di Meta: Instagram.
Immagine di copertina: un'installazione artistica davanti al Campidoglio degli Stati Uniti nel giorno dell'udienza di Mark Zuckerberg. Immagine: Michael Reynolds / KeystoneSamuel Buchmann
Senior Editor
Samuel.Buchmann@digitecgalaxus.chLe mie impronte digitali cambiano talmente spesso che il mio MacBook non le riconosce più. Il motivo? Se non sono seduto davanti a uno schermo o in piedi dietro a una telecamera, probabilmente mi trovo appeso a una parete di roccia mantenendomi con i polpastrelli.