Testiamo «Horizon Forbidden West»: spettacolare, ma con qualche difetto capitale
Il sequel di «Horizon Zero Dawn» fa sfoggio di una tecnica impressionante e un mondo assolutamente credibile. Un po’ meno convincenti sono la storia e alcune ovvietà da open world.
Alte montagne che svettano tra le nuvole, sotto una giungla impenetrabile punteggiata da alberi maestosi e in lontananza la testa di un Tallneck, un dinosauro robotico, che fa capolino tra le chiome degli alberi illuminate dalla luce del tramonto. Questa è la scena che si apre dinanzi ai miei occhi mentre insieme ad Aloy, l’eroina del gioco, scalo una parete rocciosa per staccare un trasmettitore da un’antichissima antenna radar. In «Horizon Forbidden West» si alternano grandi banalità e scenari così belli da farti commuovere. Dopo più di 30 ore sono arrivato al finale, ma non sono riuscito a vedere tutto quello che questo gioco, disponibile solo per Playstation, ha da offrire. Ne ho avuto comunque abbastanza.
La storia non decolla
«Horizon Forbidden West» si collega direttamente al primo capitolo della saga. Anche se ho giocato al primo e il nuovo titolo include un breve riassunto, mi sono dimenticato della maggior parte della storia, abitanti inclusi. Ma il gioco non si è dimenticato di me. Già nella prima ora vengo salutato da una decina di quelli che dovrebbero essere vecchi amici. Escludendo il tizio con l’acconciatura da Irochese, non mi ricordo di nessuno. «Horizon» si svolge nel futuro remoto. Ci siamo ormai lasciati alle spalle l’apocalisse. Le nuove civiltà che sono nate si compongono di antichi abitanti e di cyber-guerrieri. L’umanità è stata sterminata da una storia più o meno simile a quella di «Terminator». Qualche millennio di anni dopo, il mondo è dominato da macchine intelligenti sotto forma di dinosauri robotizzati.
Nella prima parte Aloy, la protagonista dai capelli rossi, era già riuscita a sventare una nuova fine dell’umanità. Ma, ora si scopre, non del tutto (che sorpresa!). La storia si dipana quindi ripetendo quasi lo stesso schema. Questo è il motivo per cui Aloy, con una scrollata di spalle, si incammina verso l’Ovest Proibito per disattivare una volta per tutte le malvagie AI. E fin qui nulla di originale. Più avanti arriva un’ulteriore minaccia che aggiunge un pizzico di tensione. Purtroppo compare così raramente che ogni volta mi sorprendo del fatto che esista ancora. La storia decolla soltanto verso la fine. Tutta la parte precedente manca di tensione e urgenza.
A peggiorare le cose, il gioco strizza l’occhiolino a molti cliché:
- Un nemico boss, dopo avermi afferrato, invece di ammazzarmi sceglie di scagliarmi via. Succede per ben due volte.
- L’avversario è sempre un passo avanti a me.
- Per salvare il mondo c’è un piano molto semplice ma raccontato in modo incredibilmente complicato, con una valanga di termini di fantasia.
Diversamente dalla prima parte, che almeno aveva il vantaggio di essere una storia delle origini, «Forbidden West» manca di stimoli. Gli abitanti della terra vivono una vita tranquilla in un mondo colorato e pieno di vita. Ma sì, dai, andiamo a salvare un po’ il mondo! Il livello di coinvolgimento è lo stesso di quando scorro sul feed di Instagram nel 2022. Lo faccio e basta.
Aloy è senza spessore: dopo averci passato oltre 30 ore insieme non saprei cosa raccontarvi di lei. A parte il fatto che è convinta di essere l’unica in grado di salvare il mondo. E che le piace molto bofonchiare tra sé e ha la stessa postura di una banana. La guerriera dai capelli fulvi sembra facilmente prona alla rassegnazione e al disinteresse. Sensazioni che trasmette anche a me mentre gioco.
Né hanno maggiore spessore le compagne e i compagni che incontri nel corso del gioco. C’è la nerd fissata con la religione, il guerriero un po’ acido, il romanticone gentile e la sua amichetta (?). Questo è tutto quello che mi è rimasto del gioco. L’unico per cui ho un debole è il tizio Irochese della prima parte, con i suoi modi rustici ma simpatici. Diversamente da quanto succede in un gioco di ruolo Bioware, questi personaggi ti accompagnano molto raramente; e, poiché non sono molto attivi, i dialoghi sono ridotti alla base. Ogni tanto ti fanno qualche battuta, ma non viene mai a crearsi una vera relazione. Nulla che possa sostituire la possibilità di vivere avventure insieme e di avere conversazioni dinamiche. Tanto per fare un confronto, in «Mass Effect» le missioni per conquistare i compagni di avventura sono tra i momenti migliori del gioco. In «Forbidden West» ci sono riuscito una sola volta e non sono stato veramente ricompensato.
Va un po’ meglio con le conoscenze che fai durante il viaggio che, seppur di breve durata, sono comunque sorprendentemente sfaccettate. Mi ricordo di molte di loro, ad esempio il cuoco che è riuscito a preparare il suo leggendario stufato soltanto grazie al mio intervento. Se ripenso alla preparazione mi viene subito fame. Com’era la ricetta? Cinghiale, bacche congelate e cipolle fresche?
Un mondo sorprendente, ma un po’ statico
La vera star del gioco, a parte i dinosauri robotizzati, è comunque la terra. Com’è tipico del gioco, le aree estese coprono tutti i biomi più comuni: Non manca proprio nulla: dalle dune di sabbia, alle montagne innevate, dalla giungla impenetrabile alle suggestive spiagge di una San Francisco in rovine. Anche i bunker in cui si producono le macchine hanno un aspetto fantasticamente alieno, come se ti trovassi, rimpicciolito, all’interno di un supercomputer.
A livello visivo «Forbidden West» è uno dei giochi più stupefacenti a cui abbia mai giocato. È una goduria vedere il ritmo con cui lo sviluppatore Guerilla Games riesce a produrre scenari da togliere il fiato. In particolare, ogni volta che vedo gli effetti della luce nelle varie ore del giorno, ad es. quando il sole al tramonto filtra attraverso la giungla, sono costretto a fermarmi un attimo. Purtroppo c’è anche qualche piccolo neo: ad esempio, alcune delle aree iniziali sono nettamente inferiori al resto del mondo.
Ma mentre questo mondo virtuale visivamente ottunde i sensi, quella che manca è... la vita. Al di fuori degli insediamenti o dei campi non incontri anima viva. Ci sono solo macchine, macchine e ancora macchine. Non puoi fare un passo senza incontrare un gruppo di dinosauri robot. Non ti dà la sensazione di un mondo pulsante ma, appunto, di un semplice videogame.
Inoltre la grafica soffre molto quando passi dalla «modalità grafica» standard alla «modalità performance». Con 60 immagini al secondo, molto più fluide, molti oggetti sfarfallano visibilmente e l’intera immagine perde di plasticità. Nella modalità performance Aloy si comanda in modo molto più preciso, e nell’insieme il gioco è più piacevole e fluido da giocare. Se però torni alla «modalità grafica», con i (credo) 30 fps, il gioco diventa denso come la gomma. L’immagine si «sporca» quando ti muovi da una parte all’altra. Una cosa di cui mi accorgo, però, solo quando cambio modalità. Ecco perché ti suggerisco di scegliere un’unica modalità sin dall’inizio e di non cambiarla più.
Ecco l’immagine nelle dimensioni originali
Ecco l’immagine nelle dimensioni originali
Ho poi un’ultima critica da fare alla presentazione, ovvero il suono. O, per essere precisi, la musica di sottofondo. Con il tempo, la colonna sonora sempre uguale e leggermente ansiogena mi dà così sui nervi che finisco per abbassare la musica nel menu. Questa musica invadente non ti abbandona mai, che tu stia visitando un insediamento o pescando nel fiume. Il resto della colonna sonora non si nota, cosa che di regola è un buon segnale. Ma la musica di sottofondo mi perseguita persino nel sonno.
Si tratta comunque di pecche ad alto livello. È il mondo che mi tiene incollato ogni giorno allo schermo. Ci sono sempre nuove cose da ammirare a bocca aperta. Fino all’ultimo secondo di gioco mi perdo a osservare i tanti dettagli, le animazioni realistiche e i paesaggi mozzafiato.
Innumerevoli possibilità, ma anche molta ripetizione
Come già nella prima parte, la lotta contro le macchine giganti è uno dei simboli iconici del gioco. Ed effettivamente a combattere contro quei colossi meccanici ti diverti un sacco. Cliccando sullo stick analogico puoi scansionare i robot e scoprire, grazie ai diversi colori, quali sono i loro punti deboli e verso quali elementi sono sensibili o resistenti. Basta tirare bene con l’arco e subito partono le scintille. Con qualche nemico basta una freccia elettrica nel punto giusto per far partire una scossa che tramortisce gli avversari nelle vicinanze.
Ciò che nel primo «Horizon» non mi era ancora chiara era l’evidente ispirazione a «Monster Hunter». «Forbidden West» non riesce però a raggiungere il livello sella serie giapponese del cacciatore di mostri. Quando superi praticamente tutti gli avversari utilizzando sempre la stessa identica tattica, le lotte risultano meno spettacolari. In «Monster Hunter» lo stile di gioco cambia totalmente in base all’arma scelta. In «Forbidden West» l’arco è indiscutibilmente l’arma principale e il resto sono add-on opzionali.
Eppure ci sarebbe un complesso sistema di abilità, che però interessa di più la massa che la classe. È praticamente impossibile passare ai livelli superiori. Si continua ad accumulare punteggio nelle abilità perché non ci sono abilità effettivamente rilevanti. Ciò riguarda anche l’enorme quantità di pozioni, bombe, trappole, schermi, lanciadischi e via dicendo. Questo perché il comando è sovraccarico e perché la tattica più efficiente è sempre la stessa: arco e trappole con i nemici normali e lance esplosive con gli avversali particolarmente coriacei.
I combattimenti occupano la maggior parte del tempo di gioco. Durante i miei viaggi devo dire che incontro spesso altri abitanti che mi affidano nuove quest narrandole in modo piacevole. Le cose da fare, però, sono quasi sempre le stesse: raccogliere qualcosa e uccidere il mostro, cercare le tracce e uccidere il mostro, salvare qualcuno e uccidere il mostro. Proprio come nella storia principale, anche qui non trovo impatti significativi. Com’è tipico negli open world, posso esplorare liberamente tutta la mappa e seguire la mia smania di raccolta, dare una mano agli abitanti o assaltare i campi nemici.
Nel corso del viaggio posso salire in groppa a una macchina non programmata e, se non riesco più ad avanzare, di solito mi arrampico. Ci si può arrampicare sempre e ovunque. Aloy si muove come una capretta delle montagne. Si procede speditamente e anche la vista è mozzafiato. Il sistema di arrampicata tuttavia non è perfetto: spesso Aloy brancola nell’aria. Diventa particolarmente frustrante se prima ti sei dimenticato di calare una scala per accorciare la strada e quindi ti tocca ripartire dal basso.
Possiamo mettere da parte questa meccanica obsoleta? Praticamente quasi ogni game open world oggi possiede una meccanica di arrampicata. Non ne posso davvero più di dovermi arrampicare sempre e sovunque, anche se mi muovo velocemente. O questo diventa un aspetto centrale del gioco, come in «Dying Light», oppure piuttosto lasciamolo perdere. O utilizzamolo in modo puntuale.
Un altro cliché degli open world è il rampino che Aloy può utilizzare in determinati punti per issarsi. Non manca nemmeno l’aliante che ti permette di planare elegantemente fino alla missione successiva anziché tuffarti stile suicida dalle rocce.
Un’altra cosa che andrebbe vietata è il ping. Ping, ping, ping. Ti tocca premere costantemente sullo stick analogico per scansionare l’ambiente con il mirino. E non è tutto: per scoprire i punti deboli delle macchine e degli animali nell’ambiente circostante devi tenere premuto il tasto. Devi abbattere maiali, scoiattoli e uccelli per riempirti le tasche (tanti saluti da «Far Cry»!). E ti servono anche delle tasche belle grandi, perché Aloy è l’accaparratrice più avida di tutti i tempi. Devo raccogliere ogni filo d’erba e ogni pagliuzza per coprire l’inestinguibile fabbisogno di risorse. Esattamente come il ping, che nel migliore dei casi degenera in automatismo e nel peggiore viene percepito come un lavoro.
Più soddisfacenti sono le funzioni di comfort. Tutti i compiti di raccolta sono tracciati e, non appena trovi l’animale che cerchi, viene evidenziato con un colore particolare o sull’oggetto compare un simbolo. Sulla mappa si trovano facilmente sia le quest che i compiti di raccolta. Anche il viaggio rapido è garantito grazie ai numerosi bracieri. Qualche giocatrice o giocatore potrebbe trovare i commenti contestuali di Aloy addirittura invadenti. Aloy ti dice quasi subito che cosa bisogna fare, sia durante le quest che durante l’esplorazione libera. A me la cosa sta bene, perché in questo modo ci sono meno interruzioni del gioco. Ma a volte è come se la mamma mi guidasse passo passo.
Molto più rinfrescante, letteralmente, è la nuova possibilità di immergersi. In realtà non è nulla di nuovo, ma non dico mai di no a un fantastico mondo sottomarino. Non è comunque sempre consigliabile immergersi, perché anche alcune delle macchine sanno nuotare. Peccato solo che sott’acqua non si possa combattere.
E ovviamente non può mancare un mini-gioco. Si chiama «Machine Strike» ed è una sorta di scacchi con le macchine. È sorprendentemente tattico senza diventare complicato, ma raramente mi prendo del tempo per giocarci.
I bug
Una cosa che mi sorprende per un gioco di questo calibro è la quantità di bug. La Sony ha già pubblicato un patch che dovrebbe risolverne una parte, ma purtroppo non sono riuscito a ricontrollare tutto. I bug sono di natura incredibilmente diversa. Capita più di una volta che Aloy non smetta più di raccogliere oggetti invisibili e riesco a fermarla solo riavviando il gioco. In una sequenza, manca la traccia audio. Verso la fine manca del tutto la musica e, no, non sono io ad averla disattivata involontariamente. Se si trattasse di un dispositivo stilistico sarebbe un problema più grave.
In un altro punto non riesco più a rientrare in un edificio per terminare una quest e mi tocca ricaricare un salvataggio precedente del gioco. Curioso il fatto che fossi finito in una stanza sommersa. Prima rimango incastrato nella parete, poi tutte le porte si chiudono e non posso arrampicarmi da nessuna parte. Dopo aver ricaricato ancora una volta un salvataggio precedente mi accorgo che lì non ci sarei proprio dovuto arrivare. In realtà la stanza dovrebbe essere ancora irraggiungibile e sott’acqua. In qualche modo riesco a tornare dove avrei dovuto essere.
Visto che, fortunatamente, il gioco crea dei salvataggi intermedi in automatico, questo non è un grande problema e comunque al lancio dovrebbe essere stato risolto.
Conclusione: un buon gioco, ma mi aspetto di più
Se sembro troppo critico è solo perché «Horizon Zero Dawn» era un gioco straordinario e avevo altissime aspettative nei confronti del sequel, che sono state soddisfatte solo in parte. A livello visivo «Horizon Forbidden West» è un vero schianto: per me una delle principali ragioni di esplorare l’intero mondo. Non mi stanco mai dei lussureggianti paesaggi e degli straordinari effetti di luce nelle diverse ore del giorno.
Anche gli insediamenti delle tribù sono realizzati in modo estremamente creativo e vivido. Ogni tribù ha una propria identità inconfondibile. È un vero peccato che non viva questa identità anche al di fuori delle palizzate degli insediamenti.
Sempre notevoli, anche se non proprio come nella prima parte, sono i combattimenti contro le macchine. Tocchi il massimo dell’entusiasmo soprattutto quando ti nuota vicino un coccodrillo di 30 metri o ti carica un mammut alto come una casa. I combattimenti sono frenetici, ricchi di esplosioni e davvero divertenti. Sono però un po’ troppo frequenti. Un po’ più di tattica non avrebbe guastato.
Il punto più debole è la storia e la relativa motivazione. Aloy resta una salvatrice del mondo unidimensionale. La minaccia è più o meno la stessa della prima parte e alla lunga viene a mancare la tensione. Soltanto verso la fine ho iniziato ad essere interessato a scoprire dove portava la storia, mentre fino ad allora era mancata qualsiasi drammaticità. Anche il sistema dei livelli o di upgrade non mi ha particolarmente motivato, quindi per lunghi tratti il gioco non è riuscito a entusiasmarmi.
Per riassumere, «Horizon Forbidden West» ha una grafica stupefacente ma il gameplay e la storia non riescono a tenere il passo. Durante questo safari di caccia ai mostri mi sono divertito, ma il ricordo di quest’avventura è destinato a svanire molto presto, come è già accaduto con la prima storia di Aloy.
(Com’è che si chiamavano i compagni della nuova avventura?)
«Horizon Forbidden West» è disponibile per PS4 e PS5. Ho testato una versione preliminare per PS5 messa a disposizione da Sony.
Vado matto per il gaming e i gadget vari, perciò da digitec e Galaxus mi sento come nel paese della cuccagna – solo che, purtroppo, non mi viene regalato nulla. E se non sono indaffarato a svitare e riavvitare il mio PC à la Tim Taylor, per stimolarlo un po' e fargli tirare fuori gli artigli, allora mi trovi in sella del mio velocipede supermolleggiato in cerca di sentieri e adrenalina pura. La mia sete culturale la soddisfo con della cervogia fresca e con le profonde conversazioni che nascono durante le partite più frustranti dell'FC Winterthur.