Ascesa e caduta di una società di videogiochi: come Blizzard ha perso la sua magia
«Warcraft», «Diablo», «Starcraft», «World of Warcraft»: qualsiasi cosa tocchi Blizzard si trasforma in oro. Ma poco a poco lo sfavillio sta svanendo, rivelando preoccupanti macchie di ruggine.
Nel 2004 Blizzard rilascia «World of Warcraft». Anche se il titolo viene subito osannato dai recensori, nessuno si immagina che WoW diventerà l’MMO più popolare di tutti i tempi. In questo periodo, Blizzard le azzecca tutte. «Diablo 1» e 2, «Starcraft», «Warcraft 3»: i fan acclamano con entusiasmo qualsiasi gioco creato da questa inesauribile fucina di creatività. Il marchio Blizzard è considerato un sigillo di qualità. Poche altre case di produzione hanno fama di pubblicare giochi praticamente perfetti.
Nel 2007 e 2008 accade però qualcosa che cambierà per sempre l’azienda, ormai così abituata al successo. L'acquisizione di Blizzard da parte di Vivendi, a sua volta inglobata dalla Activision l’anno successivo, inaugura un nuovo corso. Inizia come un brusio appena percettibile, ma man mano che si accumulano i problemi si trasforma in un frastuono insopportabile. Blizzard tocca il fondo con la causa attualmente in corso legata a diversi casi di molestie sessuali. Ma come sono arrivati a questo punto?
Tutto parte da una fusione
Blizzard nasce nei primi anni '90 dalla fusione di due società che producono videogiochi. Nel 1991 Michael Morhaine, Allen Adham e Frank Pearce fondano Silicon & Synapse. «Rock n' Roll Racing» e «The Lost Vikings» sono due dei primi titoli che rilasciano. Per non essere costantemente scambiati per produttori di schede, dopo un paio d’anni cambiano il nome della casa di produzione in Chaos Studios. A causa di controversie legali, però, anche questo nome dura poco. Nel frattempo, dopo tre anni di indipendenza, i Chaos Studios vengono rilevati da Davidson & Associates, software house che non apprezza particolarmente il nuovo nome proposto, Ogre Studios. È allora che Adham si mette a sfogliare un dizionario, finché non trova un nome adatto ancora non coperto da copyright. La scelta ricade su quello che oggi è l’iconico Blizzard.
Il primo gioco sviluppato con il nuovo nome è «Warcraft: Orcs & Humans». Il principio del gioco si ispira a «Dune 2», gioco di strategia della Westwood. Con i due riuscitissimi giochi successivi Blizzard non solo getta le basi di «World of Warcraft» ma, grazie a una scena di modding attiva, anche di MOBA come «Dota» e «League of Legends».
La seconda parte della Blizzard originariamente si chiama Condor Games. La casa di produzione nasce nel 1993, grazie a David Brevik e ai fratelli Erich e Max Schaefer, che inaugurano la carriera realizzando porting per console su commissione, come «NFL Quarterback Club ’95» per Game Boy. Con il prototipo del primo gioco, un cupo gioco di ruolo fantasy a turni intitolato «Diablo», entrano nel radar di Blizzard. Nel 1996 Condor Games viene acquisita da Blizzard e ribattezzata Blizzard North. L’azienda mantiene però la propria indipendenza e può continuare a concentrare tutte le sue energie nello sviluppo di «Diablo».
Prima della pubblicazione del gioco nel 1997 e dell’avvento di una schiera di imitatori, l’azienda subisce però un cambiamento decisivo. Ispirato a giochi di strategia come «Xcom», inizialmente Diablo non era progettato come un videogioco d’azione in tempo reale. I nuovi proprietari, per quanto siano entusiasti del progetto, sono invece convinti che il gioco debba svolgersi «in real life» Se ne rendono conto grazie alla loro esperienza con «Warcraft», dove i momenti migliori sono quelli in cui si è sotto pressione e bisogna decidere rapidamente.
Brevik si mette così al lavoro, anche se di malavoglia. Ma quando si accorge che, in fin dei conti, gli basta accorciare i tempi in cui si svolgono le azioni, in poche ore programma una nuova versione del videogioco. Nel libro «Stay awhile and Listen» di David L. Craddock racconta: «Me lo ricordo come fosse ieri: ho cliccato su un mostro. Il personaggio è arrivato di corsa, ha sfasciato lo scheletro ed è caduto a terra. Una cosa da non credere! In quel momento ho avuto la certezza che «Diablo» avrebbe fatto il botto.»
Il gold standard per i giochi per PC
Negli anni ’90 il nome «Blizzard» è sinonimo di videogiochi per PC di qualità. Dopo «Warcraft» del 1994, nel 1997 arriva «Diablo», mentre «Starcraft» viene rilasciato appena un anno dopo. Il videogioco strategico in tempo reale a tema fantascientifico conquista subito il mercato. La saga della guerra tra le tre razze, i terran, gli zerg e i protoss, soprattutto grazie alla modalità multiplayer, garantisce un successo duraturo e promuove una scena e-sport attiva ancora oggi.
Tutto questo grazie a Battle.net, un servizio online gratuito che consente a giocatori e giocatrici di collaborare o sfidarsi. La piattaforma esce nel 1997 parallelamente a «Diablo» e molti la considerano il punto di forza del gioco di combattimento contro i mostri. Invece di esplorare in solitaria le oscure segrete, i giocatori possono sfidare il signore degli inferi in gruppo.
Tuttavia Battle.net non decolla veramente fino a quando, nel 2000, non viene lanciato «Diablo 2». Finalmente ci sono dei server dedicati che consentono di usare il proprio personaggio sia giocando online che localmente. Questa caratteristica dà un ulteriore impulso al successore, già molto apprezzato.
Nel 2002, mentre i giochi di strategia in real time perdono sempre più terreno, Blizzard va controcorrente e sviluppa «Warcraft III: Reign of Chaos», un altro successo. Particolarmente apprezzato l’add-on «The Frozen Throne», alle cui vicende si collega quello che tuttora è il più grande progetto dello studio: «World of Warcraft». Un MMO epocale ambientato nell'universo della serie Warcraft e che riunisce migliaia di giocatori su server condivisi.
«World of Warcraft» esce nel 2004 e conquista il mondo intero. Milioni di persone vogliono esplorare il mondo di Azeroth nei panni di orchi, nani o non-morti. Con questo videogioco finalmente Blizzard diventa mainstream. Star come Vin Diesel, Mila Kunis o Smudo, il frontman del gruppo rap Die Fantastischen Vier, ammettono pubblicamente la propria dipendenza da WoW. Nel 2010, a tutt’oggi l'anno di maggior successo, WoW conta 12 milioni di utenti attivi. Nonostante la valanga di imitatori che seguirà, nessun altro MMO riuscirà a battere questo record.
Né «Diablo», «Starcraft» o «World of Warcraft» seguono ciecamente una moda preesistente. La Blizzard ha sempre sviluppato i suoi giochi secondo i propri tempi e modalità operative. Una scelta premiata dal successo. Ma la fama di essere una società di videogiochi infallibile porta anche qualche svantaggio. Come si è scoperto qualche anno dopo, molti sviluppatori segnati da un successo di lunga durata finiscono per adottare una sorta di mentalità da rockstar che avvelena lentamente il clima in azienda.
Blizzard North si scioglie
Prima che «World of Warcraft» diventi il gioco più popolare di sempre, iniziano i primi malumori alla Blizzard. Più precisamente alla Blizzard North, tra gli sviluppatori di «Diablo». Dalla sua fondazione, l'azienda è passata di mano più volte. Il passaggio più decisivo: l’acquisizione da parte di Vivendi, alias Activision. L’attività di Vivendi inizia già nel 1998. A quei tempi la Blizzard appartiene a Sierra, entrambe acquisite dall’editore francese Havas a sua volta proprietà di Vivendi.
La crescente influenza di Vivendi porta a conflitti di interesse, soprattutto alla Blizzard North. Di conseguenza, nel 2003 circa 30 dipendenti lasciano l’azienda. Tra questi anche il fondatore David Brevik e i fratelli Schaefer. Non apprezzano l'impero in cui si è trasformata Blizzard e non vogliono più dover subire le decisioni degli azionisti. Due anni più tardi Vivendi unisce quel che resta di Blizzard North con Blizzard South creando Blizzard Entertainment. Una delle ragioni principali di questa decisione è la direzione insoddisfacente che sta assumendo lo sviluppo di «Diablo 3». Questa decisione sancisce la fine degli ex studio Condor.
Il primo passo falso
Il successo di «World of Warcraft» risveglia l’interesse di Bobby Kotick. Nel 2006 il CEO di Activision è impegnato con tutte le sue forze a salvare l’azienda dalla bancarotta. Quello che oggi conosciamo come un titolo di punta, «Call of Duty», in realtà riesce a sfondare solo nel 2007 con «Modern Warfare». Quindi «World of Warcraft», macchina da soldi che a quel tempo con gli abbonamenti genera 1,1 miliardi di dollari l’anno, è proprio quello che gli serve. Vivendi però lo sa bene: per questo motivo accetta la fusione con Activision solo a patto di conservare la maggioranza delle azioni. Kotick accetta e nel 2008 nasce la nuova joint venture Activision Blizzard. Blizzard mantiene gran parte della sua autonomia e nomina anche un proprio CEO, Mike Morhaime. Anche anni dopo, l’azienda si vanta di costituire, a fianco di Activision e delle case di produzione collegate, un’unità autonoma, con una propria direzione e un proprio campus. Almeno agli inizi, viene loro risparmiato l’obbligo di rispettare un rigido ciclo di release come nel caso di «Call of Duty».
Blizzard pubblica quindi, secondo i propri tempi, tre add-on di «World of Warcraft», la prima parte della trilogia di «Starcraft 2» e infine, il 15 maggio 2012, il tanto atteso «Diablo 3». Le aspettative sono altissime e i gamer di tutto il mondo si lanciano in una corsa all’ultimo clic per incappare continuamente nel temuto «Errore 37». Nei primi giorni il messaggio di errore è onnipresente e impedisce a migliaia di persone di giocare con il GdR. Forse peggio ancora, però, è la casa d’aste dove si possono acquistare e vendere oggetti usando soldi veri. Se da un lato riempie le casse di Activision Blizzard, dall’altro causa notevoli danni all’equilibrio del gioco. All’inizio, poi, l’endgame è praticamente inesistente.
Nonostante l'inizio travagliato, «Diablo 3» diventa un gioco molto diffuso ed è molto popolare ancora oggi. Nel 2014 la casa d’aste a denaro reale viene chiusa. Viene invece rilasciato un add-on molto apprezzato, «Reaper of Souls». Ma quando è il momento di iniziare a lavorare al secondo add-on previsto, la direzione si mette di traverso: «Avete terminato Reaper of Souls, che è un ottimo prodotto. Noi riteniamo che per il marchio sia meglio continuare con ‹Diablo 4›, non importa in quale forma». Queste le dichiarazioni della direzione in un’intervista rilasciata a Kotaku, così come le ricorda un membro del team. «Per il nostro team si è trattato di un chiaro voto di sfiducia da parte del management.
Indipendentemente dal prodotto finale, la versione di lancio di «Diablo 3» causa la prima macchia sulla veste finora immacolata di Blizzard, almeno agli occhi del pubblico. Una seconda, molto più grave, attira però meno attenzione. Appena un anno dopo l’uscita di «Diablo 3», nel silenzio più assordante, viene sospeso il progetto più ambizioso che Blizzard abbia mai concepito. Titan avrebbe dovuto essere un nuovo MMO fantascientifico, che combinava «The Sims» con «Left 4 Dead» e «Team Fortress». I lavori erano iniziati già nel 2007. Sei anni più tardi, dopo un lungo periodo di sviluppo, al progetto viene staccata la spina. Si tratta del primo vero passo falso di Blizzard. Nel progetto erano state investite quantità enormi di tempo e denaro e, poiché la sua esistenza era stata confermata dalla stessa società nel 2008, sono in molti ad esserne informati.
Il progetto Titan lascia cicatrici tutt’oggi ben visibili. Secondo l’esperto Jason Schreier sarebbe quindi per timore di un nuovo disastro che l’annuncio di «Diablo 4» viene rinviato più volte. Il quarto sequel del demoniaco RdG d’azione ha già subito un importante riavvio. Anche se il fantasma del progetto Titan rimane sulle teste degli sviluppatori come una spada di Damocle, dall’esperienza nasce anche qualcosa di buono: «Overwatch».
Activision mette la quinta
Prima che Blizzard dia vita alla successiva rivoluzione di genere con «Overwatch», un nuovo sviluppo apre la strada a cambiamenti decisivi. Nel 2013 la Activision acquista le ultime azioni ancora in mano alla Vivendi. Acquisito il pieno controllo, Kotick inizia a piazzare i suoi vassalli alla Blizzard, commenta Schreier in un tweet. L’obiettivo è ridurre l’indipendenza e aumentare il ritmo di pubblicazione dei release. L’irregolarità con cui Blizzard rilascia giochi e add-on è una spina nel fianco per Activision.
Nel 2014 Blizzard pubblica «Hearthstone» inaugurando l’era dei giochi di carte, tutt’ora in voga. È il primo gioco disponibile anche per le piattaforme mobili.
Un anno dopo esce già il secondo titolo: «Heroes of the Storm». Si tratta della risposta di Blizzard a «Dota» e «League of Legends», con eroi e creature del proprio universo. Nonostante la grande risonanza, il gioco però non riesce a sfondare del tutto. Nel 2018, a sorpresa, la Blizzard annuncia la sospensione dell’assistenza per la scena e-sport. Il team di sviluppatori viene drasticamente ridotto e le persone vengono assegnate ad altri progetti. Anche se «Heroes of the Storm» è giocato ancora oggi, questa decisione marca l’effettiva fine del gioco.
Blizzard ha molto più successo con «Overwatch». Con il gioco nato dalle ceneri del progetto Titan, la società di videogiochi si avventura di nuovo in territori inesplorati. Nel 2016 gli sparatutto multiplayer non sono proprio in cima alle preferenze del pubblico, ma nonostante questo Blizzard lancia un altro gioco che fa il botto. La variopinta compagine di eroi e i dinamici scontri 6v6 riscuote un successo travolgente. Nasce il genere «sparatutto eroico». Grazie all’impulso dato da Activision Blizzard, «Overwatch» diventa uno dei titoli e-sport più popolari sul mercato.
Ma anche questo successo non può nascondere il fatto che Blizzard non abbia rilasciato altri giochi dopo «Overwatch». Dal 2016 la società può vantare add-on, rimasterizzazioni e tre annunci relativi a nuovi giochi, ma nulla più. Di conseguenza, dal 2018 Activision aumenta così gli sforzi per ridurre i costi e rilasciare più videogiochi. In un’intervista rilasciata a Kotaku, un veterano dell'azienda ricorda: «Fino ad allora l’ufficio amministrazione di Blizzard era una di quelle funzioni invisibili che esistevano ma non avevano alcuna voce in capitolo. Ora improvvisamente te li trovavi alle riunioni».
Nel 2018 termina un’altra era. Mike Morhaime, fondatore e CEO, non ne può più delle crescenti interferenze di Kotick e annuncia che lascerà l'azienda dopo 28 anni. Poco tempo dopo fonda una nuova società di produzione chiamata Dreamhaven insieme ad altri collaboratori di lunga durata. Il suo successore sarà J. Allen Brack. Appena un anno dopo l’uscita di Morhaime, Activision Blizzard licenzia quasi 800 dipendenti. Qualche mese prima Kotick aveva definito il 2018 l’anno di maggior successo della Activision Blizzard.
«Diablo Immortal», Blitzchung e «Warcraft 3»
La goccia che alla fine fa traboccare il vaso è l’annuncio di «Diablo Immortal» alla Blizzcon 2018. Invece di trovarsi di fronte l’attesissimo «Diablo IV» ai fan viene dato, come contentino, un gioco per dispositivi mobili realizzato in collaborazione con la casa di produzione cinese NetEase. L’indignazione è enorme. Blizzard, la casa di produzione che si era guadagnata la fama di riuscire a reinventare i sistemi di gioco esistenti e perfezionarli quando altri li avevano già dati per finiti da tempo. Lo studio che non si stancava mai di sottolineare che erano innanzi tutto sviluppatori per PC. Quando un fan chiede se il gioco sarebbe stato disponibile anche per PC, Blizzard risponde di no. Alla valanga di «buuu» che segue, lo sviluppatore Wyatt Cheng si rivolge ai suoi fan sorpreso: «Ma non avete uno smartphone?». Certo che ce l’hanno, ma non sono andati alla Blizzcon per sentire parlare di giochi per dispositivi mobili. E infatti il gioco non è pensato per loro. L’attenzione è tutta incentrata sul redditizio mercato cinese. Quanto questo mercato sia importante lo dimostra anche il successivo passo falso dell’azienda.
Nel 2019 a Hong Kong si svolgono proteste di massa contro la crescente influenza della Cina. Le proteste vengono represse con violenza dalle autorità. In quegli stessi giorni Ng Wai Chung, originario di Hong Kong e meglio conosciuto come Blitzchung, sta partecipando agli Hearthstone Grandmasters. Approfitta dell’intervista dopo la sua vittoria per esprimere sostegno al movimento di resistenza. Ma non fa in tempo a pronunciare la frase: «Liberate Hong Kong, la rivoluzione del nostro tempo» che il livestream viene interrotto. Dopo l’episodio, Blizzard non solo allontana Blitzchung dal torneo, ma confisca anche il montepremi che si era aggiudicato e lo bandisce dai tornei per un anno. Quindi Blizzard è a favore della libertà di espressione, ma non durante i suoi tornei. Qualche tempo dopo J. Allen Brack riduce il bando a sei mesi e restituisce a Blitzchung i soldi vinti. Dichiara: «I nostri rapporti con la Cina non hanno nulla a che vedere con la decisione». Ovviamente, non appare molto credibile.
Il più recente passo falso dell'azienda, che in molti ricordano, si chiama «Warcraft 3 Reforged». Avrebbe dovuto essere un remaster pesantemente rivisto di «Warcraft 3» nel 20° anniversario della sua pubblicazione, ma ancora una volta la Blizzard delude i suoi fan. Non solo il gioco rilasciato a gennaio 2020 è privo di molte delle funzionalità promesse, ma al lancio il titolo è anche pieno di bug. La cosa peggiore, tuttavia, è che la rielaborazione dell’elemento multiplayer che rende impossibile giocare con la versione originale e costringe tutti i giocatori a fare l’update. I fan si sentono traditi. Un sentimento che nemmeno il rimborso del prezzo di acquisto riesce a riparare.
Secondo una ricerca di Bloomberg il motivo del disastroso remaster sarebbe attribuibile a una «cattiva gestione e pressione finanziaria». Activision avrebbe costretto Blizzard a tagliare i costi e a favorire i titoli più grandi.
Lo scandalo degli abusi sessuali
Sono soprattutto le ultime settimane a dimostrare il profondo il livello di corruzione di Activision Blizzard. Alle segnalazioni di irregolarità all’interno dell’azienda già fatte in passato si aggiunge letteralmente una montagna di nuove accuse e denunce. Tutto parte da un’indagine durata due anni del Dipartimento per condizioni di lavoro e di vita equi dello Stato della California, che sfocia in una causa. Le accuse sono di molestie sessuali, approcci indesiderati e palpeggiamenti. Inoltre, in base a quanto riportato nell’indagine, le donne verrebbero pagate meno e riceverebbero incarichi secondari. I reclami presentati sia alle risorse umane che all’allora presidente J. Allen Brack sarebbero ignorati. Un’atmosfera simile a quella di una confraternita studentesca maschile.
Di conseguenza, numerosi membri dei vertici aziendali se ne vanno. Tra questi Brack, il presidente, Jesse Meschuk, il responsabile delle Risorse Umane, Luis Barriga, Game Director di Diablo IV, Jesse McCree, Lead Level Designer di Diablo IV e Jonathan LeCraft, Level Designer di «World of Warcraft». Inoltre molti sponsor importanti, come Coca-Cola, Kellogg’s, IBM e Pringles, abbandonano la lega di e-sport «Overwatch». Con la causa Blizzard tocca il fondo.
Kotick e la sua brama di potere
Impossibile dire se la causa attuale porterà a qualche miglioramento. Le prime reazioni di Bobby Kotick, CEO di Activision Blizzard, non sono positive. Le sue dichiarazioni sono state liquidate dal personale come vuote promesse. Persino gli azionisti considerano le misure annunciate chiaramente insufficienti. Preoccupa in particolare il fatto che uno studio legale non qualificato, che in passato aveva già lavorato per Activision Blizzard, dovrebbe essere incaricato delle indagini.
Lo scandalo potrebbe comunque giovare a Kotick, perché gli consentirebbe di estendere ulteriormente la sua influenza sulla Blizzard. Lo si intuisce chiaramente già dal titolo dei dipendenti Blizzard di più alto rango. Quando Mike Morhaime era ancora ufficialmente CEO, J. Allen Bracks aveva la carica di presidente. I suoi successori, Jen Oneal e Mike Ybarra, vengono indicati solo come co-leader. Le possibilità che con questi presupposti Blizzard torni ad essere la stella di un tempo sono minime. Kotick può sperare che per molti giocatori e azionisti basti il successo di «Diablo IV» per considerare chiusa la faccenda. Speriamo che si sbagli.
Vado matto per il gaming e i gadget vari, perciò da digitec e Galaxus mi sento come nel paese della cuccagna – solo che, purtroppo, non mi viene regalato nulla. E se non sono indaffarato a svitare e riavvitare il mio PC à la Tim Taylor, per stimolarlo un po' e fargli tirare fuori gli artigli, allora mi trovi in sella del mio velocipede supermolleggiato in cerca di sentieri e adrenalina pura. La mia sete culturale la soddisfo con della cervogia fresca e con le profonde conversazioni che nascono durante le partite più frustranti dell'FC Winterthur.