I videogiochi platform 3D: dalla scoperta della terza dimensione alla caduta nel dimenticatoio
Un tempo i platform 3D erano i titoli di punta di ogni console. Oggi solo «Super Mario» vanta questo privilegio. Come mai?
Indipendentemente dalla piattaforma utilizzata, gli anni ’90 erano dominati dai platform 3D con personaggi adorabili o super impertinenti. Oggi, però, i jump’n’run in mondi tridimensionali non se li fila più nessuno. Quelli che un tempo erano vere e proprie icone del mondo del gaming e le loro mascotte oggi non possono più competere con i fuoriclasse tripla A. Tra gli indie e le rimasterizzazioni puoi forse ancora trovare quello che cerchi, anche se i nuovi titoli ad alto budget sono ormai una rarità.
Per capire i motivi di tutto questo bisogna fare qualche passo indietro nel tempo.
Arriva la prima ondata
Correva l’anno 1990 quando il primo platform 3D usciva dal suo sonno popolato di poligoni. Rispetto ai successivi spin-off del genere, «Alpha Waves» ha un’estetica molto elementare. Tuttavia, ti fa fare già le attività tipiche del genere: sei un personaggio tridimensionale in un ambiente anch’esso tridimensionale e devi saltare su varie piattaforme per arrivare alla fine di un livello. E con questo il genere di gioco è già delineato, a grandi linee.
«Alpha Waves» non fa proprio tutto benissimo. I livelli hanno una struttura molto semplice e non sono molto belli esteticamente. Anche i controlli lasciano un po’ a desiderare. Il tuo personaggio può solo saltare in alto o in basso e muoversi con i «controlli tank». Serviranno numerosi progressi per arrivare allo standard attuale. E da dove potrebbero provenire questi progressi, se non dalla Nintendo, genio dell’innovazione? «Super Mario 64» fa la sua comparsa sei anni dopo il primo platform 3D e getta le basi del genere come lo conosciamo oggi.
Mario: il momento della svolta
«Super Mario 64» ti fa partire dal cortile del castello della Principessa Peach che dev’essere salvata per l’ennesima volta. Da lì, puoi entrare nel castello, dove ti si apre un mondo hub tutto da esplorare, così come i livelli al suo interno. Non si tratta solo di un mondo bello da vedere per gli standard dell’epoca, ma hai anche qualcosa da scoprire a ogni angolo. Può essere una stella del potere come oggetto principale da collezionare, o monete che ti fanno conquistare altre stelle o segreti come, ad esempio, un portale invisibile. «Super Mario 64» è un parco giochi pieno zeppo di cose da fare e molto altro ancora.
Nintendo fornisce a Mario un arsenale di movimenti del tutto nuovo e dalla precisione estremamente efficace. Come nel caso dei giochi 2D, ti muovi facendo un sacco di salti, ma questa volta hai anche a disposizione il salto triplo, il salto all’indietro e il salto laterale. A completare il repertorio di mosse dell’idraulico si aggiungono la possibilità di attaccare i nemici schiacciandoli e tre potenziamenti che puoi sbloccare nel corso del gioco.
L’unica critica riguarda la telecamera. È vero che puoi muoverla con i tasti C del controller del Nintendo 64, ma non è precisa né soddisfacente. Un problema che affliggerà anche i giochi successivi.
L’era delle mascotte
È impressionante quello che «Super Mario 64» ha fatto per un intero genere e quanto fosse in anticipo sui tempi. Anche dopo 30 anni, il gioco vanta una community molto attiva, sia tramite i tanti speedrun che i molti appassionati di modding. Ad altri platform 3D serve ancora un po’ di tempo prima di riuscire ad avvicinarsi al leader del genere. Ma ben presto adottano anche loro il sistema di controllo di Mario e integrano mondi hub nei loro giochi.
Negli anni ’90 la PlayStation comincia a sfornare le proprie mascotte. «Crash Bandicoot» esce poco dopo «Super Mario 64». Quello che appassiona di più del gioco del simpatico marsupiale è l’alto grado di difficoltà. «Croc: Legend of the Gobbos» vede la luce un anno dopo «Super Mario 64». Ciononostante, i suoi comandi sono meno intuitivi. Anche perché per far ruotare il simpatico coccodrillo avanti e indietro hai a disposizione solo dei controlli tank. Nel 1998 esce «Spyro the Dragon», un altro titolo di successo per PlayStation. Diversamente dalle altre mascotte, il piccolo drago può anche volare e questo comporta ulteriori sfide per quanto riguarda la progettazione dei livelli. Il team di sviluppo, però, se la cava egregiamente.
Se penso ai platform 3D per la prima PlayStation, mi rendo conto di come il controllo della telecamera fosse in ritardo rispetto a «Super Mario 64», nonostante anche il titolo di Nintendo non fosse proprio un fulgido esempio di controllo intuitivo della telecamera. In vari platform 3D riesci a ruotare la telecamera solo combinando faticosamente i pulsanti L e R del controller. In altri giochi, ti segue automaticamente. Comodo, fino a quando una curva improvvisa non ti fa perdere il controllo e ti fa fare un salto nel vuoto.
Rareware e gli anni d’oro dei platform 3D
Mentre Sony cerca di recuperare il terreno perduto dopo «Super Mario 64», Nintendo non riposa sugli allori e nel 1998 pubblica «Banjo Kazooie», un altro platform 3D per Nintendo 64. Come «Super Mario 64», anche questo gioco presenta un mondo hub originale, livelli ben strutturati e pieni zeppi di attività e controlli simili (ma meno precisi) a quelli del titolo della casa. Alla formula già nota, si aggiungono anche vari movimenti per i protagonisti Banjo e Kazooie e aumenta di un bel po’ il numero degli oggetti da collezionare. Il gioco è sviluppato da quelli della Rareware, più tardi rinominata in Rare.
Nonostante il successo commerciale, l’azienda segnò il lento declino del genere.
Mentre «Banjo Kazooie» è riuscito a ripetere il successo dell’idraulico su Nintendo 64, lo stesso non si può dire del titolo successivo «Banjo Tooie». Qui i livelli sono molto più grandi, la gamma dei movimenti dell’orso e dell’uccello cresce in modo esponenziale e minigiochi dovrebbero garantire una maggiore varietà. In teoria sembrerebbe una cosa positiva, dico bene? E invece, no.
È proprio da qui, infatti, che ha inizio una problematica che affliggerà anche altri giochi open-world: i mondi sono più grandi, ma vuoti. I troppi oggetti da collezionare, inoltre, fanno sembrare il gioco un lavoro. La magia compatta di giochi come «Super Mario 64» e «Banjo Kazooie» è ormai perduta.
Tra l’altro, «Banjo Kazooie» non è il primo gioco sviluppato dall’allora Rareware per Nintendo. Con «Donkey Kong Country» per SNES, lo studio di sviluppo britannico dimostra di saper gestire anche i marchi Nintendo esistenti. Purtroppo, questo non vale per la versione in 3D del noto gorilla.
Infatti, con «Donkey Kong 64» Rareware raggiunge il suo momento più basso. Per l’ennesima volta, giocatrici e giocatori sono sopraffatti da livelli giganteschi e da una quantità eccessiva di oggetti da raccogliere, ovvero ben 3821. Volendo realizzare tutto questo nel modo più complicato possibile, si finisce nel trasformare in una sofferenza quella che sarebbe stata una funzione figa. I collezionabili sono suddivisi tra cinque personaggi diversi e tu devi passare continuamente dall’uno all’altro. A chi è venuta in mente una simile idiozia?
Ed è così che i simpatici protagonisti dagli occhi a palla finiscono per perdere gran parte dei fan. Le mascotte sono state sfruttate in modo eccessivo. Rareware si accorge di questa evoluzione e, dopo le critiche ricevute, cambia radicalmente lo sviluppo del precedente «Twelve Tales: Conker».
In origine «Conker: Twelve Tales» avrebbe dovuto essere un platform 3D come «Banjo Kazooie», con tanto di collezionabili e personaggi adorabili. Il risultato è invece «Conker’s Bad Fur Day», che non solo rivoluziona il genere, ma si prende anche gioco di tutte le convenzioni precedenti. I personaggi sono sgarbati e ipersessualizzati, mentre la raccolta degli oggetti è ridotta al minimo.
Il mercato crolla
Verso la fine degli anni ’90 inizia la crisi dei platform 3D, ma la colpa non è solo dei mondi di gioco vuoti. Visto l’enorme successo di Super Mario & Co., sono in tanti a volersi spartire una fetta della torta. Vengono così prodotti innumerevoli giochi di scarsa qualità e quindi poco divertenti da giocare. Giocatrici e giocatori sono sempre più stanchi di questo genere. E di conseguenza è sempre più difficile trovare dei videogiochi a piattaforme 3D validi.
Voci maligne paragonano «Donkey Kong 64» all’«E.T.» per Atari: da solo sarebbe il responsabile del declino dell’intero settore dei videogiochi. Ma come per «E.T.», anche nel caso di «Donkey Kong 64» le cose sono leggermente più complicate. I due giochi sono stati semplicemente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. L’aver saturato il mercato con giochi mediocri è da imputare all’intero settore.
La tecnologia diventa un ostacolo
Nonostante «Donkey Kong 64», il genere non muore subito. Con «Sly Cooper», «Jak and Daxter» e «Ratchet & Clank», arrivano su PlayStation 2 tre serie di giochi molto amate dai fan e tuttora apprezzate a distanza di 20 anni. Con questa generazione di console diventa però evidente il problema successivo del genere, ovvero la tecnologia.
Infatti, i platform 3D non sono solo piacevoli intrattenimenti, ma sono anche la dimostrazione di ciò che le console sono in grado di offrire. I mondi tridimensionali che puoi esplorare liberamente su PS2 e N64 sono tra i più suggestivi che tu possa mai vedere. Lo sviluppo della tecnologia permette di creare anche mondi più realistici, come quelli di «GTA 3».
In pochissimo tempo, i videogiochi compiono un enorme balzo in avanti dal punto di vista tecnologico. Una grossa fetta di pubblico volta quindi le spalle ai giochi dai colori sgargianti in stile cartoon come «Banjo Kazooie», perché la tecnologia è sempre più accattivante anche nei giochi per adulti. Con la sesta generazione di console, giocatrici e giocatori preferiscono spendere i loro soldi in giochi diversi dai platform 3D. Di conseguenza la dispendiosa e costosa attività di sviluppo viene dirottata su progetti più redditizi.
Il rilancio del settore indie e le rivisitazioni dei classici
Segue un periodo di carestia che si estende fino ai giorni nostri. Nel segmento AAA non succede praticamente nulla. Eccezioni come «Crash Bandicoot 4: It’s About Time», nonostante la buona qualità, sono deludenti in termini di vendite. Nel primo mese dall’uscita, il gioco vende solo 402 000 unità. Alla sua uscita, «Ratchet & Clank: Rift Apart» è la dimostrazione perfetta delle capacità della PlayStation 5. Nonostante la scelta limitata di giochi esclusivi all’epoca, il titolo riesce a vendere solo poco meno di quattro milioni di copie alla fine di giugno 2023.
C’è invece molto più movimento altrove, ovvero nel settore indie. Dopo un paio di flop come «Yooka-Laylee» del 2017, si susseguono le storie di successo. Nel 2023 sono stati pubblicati diversi hit, come «Cavern of Dreams» e «Corn Kidz 64», che si rifanno ai fasti dell’epoca di «Banjo Kazooie». Se sei tra chi apprezza dei comandi ben fatti, puoi tentare la sorte con «Pseudoregalia». Il gameplay di questo Metroidvania è inutilmente complicato in alcuni punti, ma i controlli del personaggio principale sono quasi perfetti.
Con i remake delle prime trilogie di «Crash» e «Spyro», ecco che anche i vecchi grandi franchise danno qualche segnale di vita. Sia «Crash Bandicoot N. Sane Trilogy» che «Spyro Reignited Trilogy» hanno venduto oltre dieci milioni di copie ciascuno. Persino Banjo ha avuto un ritorno inaspettato, anche se solo come parte del pacchetto di espansione Nintendo 64 per Switch Online.
Anche se i platform 3D nel settore dei tripla A si sono ridotti di numero, non si sono estinti del tutto. I fan che li avevano giocati da bambini, ora sono cresciuti e possono sviluppare dei propri videogiochi a piattaforme in 3D. Chissà se queste creazioni riusciranno finalmente a risvegliare il genere dal suo lungo letargo?
Qual è il tuo platform 3D preferito in assoluto? Scrivilo nei commenti. Il mio è «Bugs Bunny & Taz: in viaggio nel tempo» per PS1. Probabilmente non lo conosce più nessuno, ma io ci gioco regolarmente ancora oggi.
Ho scritto il mio primo testo sui videogiochi quando avevo otto anni. Da allora non sono più riuscita a smettere. Il resto del tempo lo passo con i miei amori: Husbandos 2D, i mostri, i miei gatti e lo sport.