Il regista Wes Ball: «Ancora un altro film della serie ‹Il pianeta delle scimmie›!? È quello che ho pensato anch’io all’inizio»
Per il regista Wes Ball non è stata un’impresa facile proseguire il reboot di successo del franchise di «Il pianeta delle scimmie». In questa intervista esclusiva mi ha raccontato perché l’ha fatto comunque e come ha superato le sfide più importanti.
L’intervista è stata registrata il 26 aprile. La trovi nel video in alto (in inglese). In alternativa, qui puoi anche leggere la trascrizione dell’intervista.
Scimmie. Insieme. Forti. Da «L’alba del pianeta delle scimmie» del 2011, ovvero la reinterpretazione del franchise nato nel 1968, è questo il motto con cui Cesare (Andy Serkis), uno scimpanzé geneticamente manipolato, guida il suo clan. Perché quando un virus creato dall’uomo aveva iniziato ad accrescere l’intelligenza delle scimmie, lo stesso virus aveva avuto l’effetto opposto sugli esseri umani – sempre che sopravvivessero.
Nel nuovo film «Il regno del pianeta delle scimmie», tre film e centinaia di generazioni dopo, Cesare è ormai entrato nel mito, ma le scimmie sono comunque diventate la specie dominante sul pianeta. Questa volta la regia è affidata a Wes Ball. Il 43enne americano è diventato famoso per la trilogia di «Maze Runner - Il labirinto». Durante la nostra intervista mi ha raccontato le cose positive e negative di un nuovo sequel di «Il pianeta delle scimmie», dell’eredità dei vecchi film e della difficoltà di realizzare un blockbuster di questa portata.
Wes, dopo lo splendido epilogo del viaggio di Cesare in «The War - Il pianeta delle scimmie», non hai mai dubitato dell’opportunità di un altro capitolo del franchise?
Wes Ball: (ride) È quello che ho pensato anch’io all’inizio. Perché un altro film? Ma sai, negli ultimi 55 anni sono stati realizzati dieci film della serie «Il pianeta delle scimmie». E da generazioni questo franchise esercita un fascino irresistibile. Quindi la domanda non era se dovevamo fare un altro film, ma se doveva trattarsi di un reboot o di un sequel. Alla fine abbiamo deciso di procedere così: la nostra storia si svolge nello stesso «universo» del reboot, ma centinaia di anni dopo l’ultima apparizione di Cesare. Lui c’è ancora, ma solo sotto forma di leggenda. Come mito.
Una mossa intelligente. In questo modo «regno» diventa una sorta di sequel, ma non è un’appendice posticcia di una storia che era già stata raccontata fino alla fine.
Esattamente! Chi vorrebbe vedere una cosa del genere? Sarebbe stata una cosa completamente inutile.
Sei anche intervenuto sul tono del racconto. I tre capitoli precedenti erano distopici e cupi. «Regno» invece sembra un po’ più ottimistico. Più avventuroso. Ancora una volta, abbiamo la possibilità di scoprire un mondo completamente nuovo, cresciuto abbarbicato ai ricordi di un mondo antico, scomparso ormai da tempo.
Abbastanza inquietante, no? In effetti volevo creare queste immagini, bellissime ma nel contempo anche oppressive. Un richiamo continuo e malinconico a tutte le vite e le immense conoscenze che sono andate perdute nel corso del tempo.
Ora che ci penso: sei conosciuto soprattutto per l’adattamento cinematografico dei romanzi della serie «Maze Runner». Anche lì, un mondo distopico…
È vero. Per qualche motivo mi ritrovo sempre in mezzo a questi panorami desolati (ride). Ma va bene così.
È stato più liberatorio inventare una storia completamente nuova in un setting totalmente nuovo? O invece intimorisce il fatto di non avere più nessuna guida come un libro da cui partire?
Beh, in un certo senso avevamo delle linee guida anche per «regno». Anche se non sotto forma di libri. Ma, appunto, dal primo «Il pianeta delle scimmie» del 1968 erano già stati girati altri nove film. Avevamo quindi sicuramente una struttura di riferimento e delle regole da seguire, ma anche tantissime fonti di ispirazione da cui trarre spunto.
Ad esempio, il fatto che ora le scimmie possono davvero parlare perché si sono ulteriormente evolute…
Esattamente. Oppure che devono esistere degli uomini selvaggi la cui intelligenza è notevolmente diminuita. Tuttavia, i vecchi film sono ambientati quasi 2000 anni nel futuro. E il reboot nel nostro presente. Invece noi iniziamo il nostro film circa 200-300 anni dopo la storia di Cesare. Questo ci ha dato una grande libertà creativa, nonostante le regole da rispettare. È stato un processo interessante.
Hai potuto contare sull’aiuto di Rick Jaffa e Amanda Silver, che avevano già partecipato alla stesura dei tre capitoli precedenti.
Ah, il loro aiuto è stato fondamentale! Rick e Amanda sono state le prime due persone con cui ho parlato del sequel. Non voglio parlare al posto loro, ma credo che anche loro fossero scettici all’inizio. La loro reazione è stata tipo: «Davvero? Ancora un altro film?» Poi ci siamo trovati a pranzo e ho presentato loro tutte queste idee folli che mi ronzavano per la testa.
Un vero e proprio pitch meeting. Dopo di quello li hai avuti a bordo, immagino?
Erano così entusiasti che abbiamo coinvolto anche Josh Friedman, che aveva già aiutato Rick e Amanda nella stesura di «Avatar - La via dell’acqua». Insieme, hanno poi riunito tutte le mie idee in una linea narrativa all’altezza dell’eredità dei tre film precedenti.
Questa eredità, proprio nella forma del mito di Cesare, è presente durante tutto il film. È una cosa che mi ha commosso molto.
È davvero un mito avvincente che accompagna l’intero film in modo più o meno palese. Credo che «Il regno del pianeta delle scimmie» farà riflettere la gente anche una volta fuori dal cinema.
Per fortuna hai anche potuto contare su un fantastico protagonista, Owen Teague, che regge tutto il film sulle spalle. Quanto ti spaventava dover trovare qualcuno all’altezza di calcare le orme del grande Andy Serkis?
Ti rendi conto? Ero terrorizzato all’idea! Poi è comparso il video del casting di Owen Teague. Credo fosse appena il secondo video che visionavo. E l’ho capito subito: è lui. È il nostro protagonista. L’abbiamo già trovato. Un vero miracolo! Una sensazione incredibile. Qualche tempo dopo ho scoperto che Owen era diventato attore solo perché aveva visto Andy Serkis nel «King Kong» di Peter Jackson.
Sul serio?
Certo! È incredibile come il cerchio si sia chiuso. Ma anche tutte le altre attrici e gli altri attori meritano un grande riconoscimento. Per la maggior parte di loro si trattava della prima grande produzione cinematografica. E poi il difficile lavoro con le tute per il motion capture…
A proposito: è stato anche il tuo primo grande film con il motion capture, giusto?
Ah, è stata un’avventura! I miei tre «Maze Runner» insieme non sono costati quanto «Il regno del pianeta delle scimmie» da solo. Fortunatamente, avevo già fatto un po’ di esperienza nel motion capture con «Mouse Guard», anche se quel film era stato abbandonato ancora in fase di realizzazione quando la 20th Century Fox era stata acquistata dalla Disney. A ogni modo, mi sono sempre considerato un artista a cui piace lavorare con gli effetti speciali.
Allora ti sarà piaciuto moltissimo lavorare con quelli della Wētā FX, lo studio che si occupa degli effetti speciali.
Eccome! La potenza nascosta in queste immagini generate al computer è semplicemente sconvolgente. Fortunatamente dopo «Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie», Erik Winquist è tornato come supervisore degli effetti speciali. Con la sua esperienza, vale tanto oro quanto pesa. Non dimentichiamo poi tutti gli altri artisti e artiste della Wētā FX, che hanno già lavorato a tre «Il pianeta delle scimmie»... Sono semplicemente le persone migliori che puoi trovare nel settore.
Cosa ne pensi di un secondo film «Il pianeta delle scimmie»? Hai qualche altra idea?
Ovviamente. Ma cavolo, è stato davvero difficile. Adesso ho tutto un altro livello di rispetto per Matt Reeves, che ne ha già girati due di «Il pianeta delle scimmie» (ride). Spero comunque di avere un’altra occasione di continuare la storia, se il pubblico dimostra di apprezzare e volerne ancora.
Lo spero anch’io. E vorrei anche passare tutta la giornata a farti altre domande, ma credo che il mio tempo sia terminato.
Alla prossima occasione, Luca. Grazie, ho apprezzato molto le tue domande.
In «Il regno del pianeta delle scimmie» seguiamo il giovane scimpanzé Noa (Owen Teague) nel suo viaggio attraverso un mondo mistico, a lui completamente sconosciuto. Come membro di una pacifica tribù di scimmie, non pensa ad altro che all’imminente prova di maturità, il cui superamento lo trasformerà in un adulto della tribù. Ma inaspettatamente una tribù straniera e bellicosa li attacca, alla ricerca di qualcosa – o meglio, di qualcuno – e rapisce i suoi cari. Noa è quindi costretto a partire e ad abbandonare per la prima volta la sua terra per salvare la sua tribù.
«Il regno del pianeta delle scimmie» è nei cinema dall’8 maggio ed è vietato ai minori di 12 anni.
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La mia zona di comfort consiste in avventure nella natura e sport che mi spingono al limite. Per compensare mi godo anche momenti tranquilli leggendo un libro su intrighi pericolosi e oscuri assassinii di re. Sono un appassionato di colonne sonore dei film e ciò si sposa perfettamente con la mia passione per il cinema. Una cosa che voglio dire da sempre: «Io sono Groot».