La rinascita della seta svizzera: a Berna rivive un’antica tradizione
Con tempo e pazienza, partendo dalle foglie del gelso, si arriva alla seta. Chi conosce molto bene questo processo in prima persona è Ueli Ramseier, presidente dell’associazione Swiss Silk, che ci ha accolti nella manifattura bernese in cui produce seta.
«Per produrre la seta non devi avere fretta. Niente fretta quando pianti gli alberi. Niente fretta quando allevi i bachi da seta. Niente fretta quando dipani il filo dei bozzoli. Fai le cose con calma e ti verranno bene», mi spiega Ueli Ramseier, agricoltore e ingegnere tessile, mostrandomi con orgoglio una matassa di fili seta ordinatamente disposti: morbidi, lucenti, di un bianco brillante. Mi fanno pensare alla criniera leggiadra di una creatura mitologica. Il primo impulso è quello di toccarli. Ma la seta ha un aspetto così prezioso che non oso. «Fai pure», mi sprona Ueli. Passo la mano sui fili che più tardi saranno intessuti per diventare organza, damasco, taffetà e twill. Anche al tatto ho la stessa impressione di preziosità.
Quasi 15 anni fa Ueli Ramseier, insieme ad altri cinque agricoltrici e agricoltori, ha fondato Swiss Silk, l’associazione dei produttori svizzeri di seta. Nel frattempo, si sono unite a loro altri dieci persone appassionate di seta, con l’intenzione di rilanciare questa tradizione locale. In realtà la produzione di seta in Svizzera risale fino al tardo Medioevo. A metà del 19° secolo era addirittura uno dei settori più importanti del Paese e i setifici di Zurigo erano tra i primi produttori al mondo. La Seidengasse (Vicolo della seta), nel primo distretto, è un chiaro lascito di quell’epoca.
Berna come nuovo hotspot della seta
Quasi due secoli dopo e 120 chilometri più a ovest, Swiss Silk ha avviato un movimento di rinascita della seta svizzera. Secondo Ueli, presidente dell’associazione, fino allo scorso novembre il minuscolo setificio di Bolligen, Berna, era addirittura l’unica azienda europea a trasformare i bozzoli in fili di seta.
Lo stabilimento non si occupa, però, della produzione di tessuti. Saranno aziende elvetiche tradizionali, come Weisbrod o Minnotex, a occuparsi in una fase successiva della torcitura e della tessitura dei filati. I tessuti realizzati con la seta di Swiss Silk vengono usati in molti ambiti. Il negozio di arredamento Pfister, ad esempio, li usa per confezionare tende, lo stilista Rafael Kouto crea abiti per il suo marchio sostenibile e le sarte della Bernische Trachtenvereinigung li trasformano nei grembiuli dei costumi tradizionali.
Quando la materia prima arriva in fabbrica ha un aspetto completamente diverso: avvolta strettamente e incollata a formare un guscio duro dalla forma ovale che il bruco del gelso impiega tre giorni a costruire. Le agricoltrici e gli agricoltori dell’associazione li allevano come attività secondaria, nei mesi estivi. I bachi vengono nutriti esclusivamente con le foglie dell’albero di gelso, una pianta originaria della Cina, Paese d’origine anche della seta, ma che qui in Svizzera vegeta a meraviglia.
Macchinari potenti e delicato lavoro manuale
Ueli apre uno delle decine di bidoni blu pieni di bozzoli conservati in fabbrica: «Devono essere conservati in modo sicuro, perché i topi ne vanno matti». In gruppi di quattro persone, tra le migliaia di bozzoli lui e il suo team selezionano quelli più grandi, più rotondi e più bianchi. Solo circa un terzo del raccolto è idoneo alla produzione della pregiata seta in bobina, ottenuta dal filo estratto dalla parte centrale del bozzolo, lungo fino a due chilometri.
I bozzoli di seconda scelta, invece, vengono inviati all’azienda tedesca Fibrothelium, specializzata nella produzione di soluzioni proteiche ricavate dalla seta e utilizzate, tra l’altro, per la fabbricazione di impianti medici. L’ultimo terzo dei bozzoli, scartato a causa di scolorimenti e impurità, confluisce insieme ai residui di produzione nella lavorazione della cosiddetta seta schappe, che Swiss Silk produce per la prima volta quest’anno. Questo prodotto non si ottiene dal filamento continuo ricavato dalla sezione centrale del bozzolo, ma da fibre corte che vengono filate fino a ottenere un filo sottile.
Dietro le imponenti macchine della fabbrica si nasconde in realtà un processo delicato. La trattura è una tecnica che, come l’allevamento dei bachi da seta, richiede una grande manualità. Su ogni bozzolo si passa una piccola spazzola per staccare il capofilo più duro. Una macchina dipana otto bozzoli in parallelo e li fila in un unico filato di seta grezza. La macchina, però, non è in grado di infilare da sola la prima parte del filo. Per farlo servono dita agili: ogni giorno vengono dipanati fino a 2 500 bozzoli, pari a circa 350 chilometri di filo di seta. Tutto il processo, fra l’altro, viene eseguito senza impiegare sostanze chimiche nocive. I bozzoli vengono semplicemente lasciati in ammollo nell’acqua.
Di valori visibili e intrinsechi
Ueli ci guida nel «laboratorio» di Swiss Silk, come lo chiama lui, con una strizzatina d’occhio ironica. Infatti qui non ci sono scienziati, ma artigiane e artigiani che vogliono solo produrre un buon filato. Lo sguardo mi cade su un’elegante bilancia antica. «Un bel pezzo, vero?», dice entusiasta il 62enne e mi mostra come viene testata la resistenza del filato, quindi lo spessore.
L’unità di peso utilizzata è il vecchio denaro francese, lo stesso che si usa anche per i collant, e si misura in grammi per 9000 metri. Il filato di seta di Swiss Silk corrisponde a circa 20 denari, quindi può pesare 20 grammi per nove chilometri.
Un altro campione viene avvolto su una tavola nera e viene controllato a occhio nudo per individuare eventuali irregolarità, come piccoli nodi. In una terza fase si testa la coesione, ovvero la robustezza del filato, sempre a mano. In realtà esistono delle macchine apposite, ma al momento Swiss Silk non ha le risorse per acquistarle. Ueli prende il filo tra le dita e lo gratta con l’unghia: «Se dopo dieci volte è ancora stabile, la qualità è buona. Dopo cinque volte, è passabile. Sotto questo valore, la qualità non è buona». Circa il 20% dei filati rientra in quest’ultima categoria e possono essere utilizzati solo per determinati tessuti, come il jacquard. In generale, la qualità della seta svizzera è «discreta», ma c’è ancora margine di miglioramento per quanto riguarda uniformità e coesione.
«Lo senti?», chiede Ueli. In fabbrica si sente un ticchettio costante. «È una valvola che si apre e si chiude. Alimenta continuamente acqua calda durante la dipanatura». L’hanno aggiunta loro. Una piccola modifica che è responsabile di quella che è forse la caratteristica più appariscente della seta svizzera: il suo colore bianco brillante. Ma Ueli ritiene che siano le qualità intrinseche della seta di Swiss Silk a renderla così speciale. È un prodotto comprensibile, tangibile, che fa subito pensare alle persone che ci sono dietro: «In estate puoi andare da una contadina e vedere come alleva i bruchi e dove crescono i gelsi. Anche la nostra manifattura durante i mesi invernali il sabato mattina è liberamente visitabile».
Corso intensivo di due settimane in India
Quando Ueli lanciò il progetto Swiss Silk, aveva già un bagaglio di esperienze straordinariamente vario: due periodi di tirocinio come ingegnere tessile e agricoltore, una formazione come insegnante, due lauree in biochimica e scienze religiose e un master in etnologia. Ma non aveva alcun tipo di esperienza pratica nella produzione di filati di seta.
«Quella volta andai in India e mi dissi che se compravo una macchina del genere avrei dovuto prima imparare come usarla», racconta Ueli con una risata. Dopo un corso intensivo di due settimane, naturalmente era ancora un principiante assoluto. Tornato in Svizzera non gli restava che andare per tentativi, finché non avesse funzionato. Lui e il suo team hanno imparato molte cose da autodidatti: «Ci sono state volte in cui eravamo quasi disperati e ho dovuto confortare molte persone. Ma adesso sono tutti dei veri e propri specialisti».
A Ueli piace ripensare agli inizi. «C’era chi pensava che fossimo pazzi, ma la maggior parte delle persone apprezzava il nostro piccolo esperimento», ricorda. In un certo senso, è stato come combinare un parco giochi con un sacco di lavoro volontario. Ma quella fase è ormai conclusa e ora Swiss Silk deve affrontare nuove sfide: «Dobbiamo imparare a pensare come una PMI. Al momento stiamo definendo una strategia finanziaria stabile per il lungo periodo e puntiamo a rendere professionale la nostra organizzazione».
Il dilemma dell’uccisione di esseri viventi
Ueli si confronta continuamente anche con problemi di natura etica. Il fatto che i bozzoli, dopo la raccolta, vengano essiccati in forni speciali insieme alle crisalidi è inaccettabile per alcune persone. Se però si lasciano schiudere le farfalle, i bozzoli si danneggiano e con essi il filamento continuo, essenziale per la seta in bobina. «Ricevo periodicamente e-mail di critica da parte di alcune persone e capisco il loro punto di vista», svela Ueli. È un tema che anche lui sta studiando in modo approfondito: «Ma come agricoltore, devo trovare un modo per venire a patti con l’uccisione di esseri viventi. Che sia per produrre la seta o per proteggere le mie mele dai topi. Non è una questione semplice e non dovrebbe nemmeno esserlo».
La maggior parte degli invertebrati, compresi gli insetti, non rientra nella legislazione sulla protezione degli animali in Svizzera. Per questo motivo, Swiss Silk ha sviluppato un proprio standard per un «allevamento rispettoso degli animali» per i bachi da seta. Tra le altre cose, vieta l’uso di ormoni, limita il trasporto a un massimo di sei ore e specifica alcune condizioni di allevamento, come la luce naturale.
Non si scarta nulla, nemmeno gli escrementi
Per Ueli, mostrare rispetto e apprezzamento verso le creature viventi significa anche utilizzare quanto più possibile dell’animale. Nella produzione della seta non si scarta praticamente nulla, per convinzione. Dalla sostanza gommosa che tiene insieme il bozzolo si ottiene un balsamo. La parte iniziale dura del filo di seta viene utilizzata per la produzione di saponette. Le crisalidi essiccate vengono vendute da Samtpfötli, negozio specializzato in piccoli roditori, come cibo per criceti dorati.
«Sono entusiasta del fatto che si possa usare davvero tutto. Persino gli escrementi dei bachi da seta, da cui si ricava un compost eccellente. Nella medicina tradizionale cinese viene essiccato e servito come tè», spiega Ueli, mettendomi sotto il naso un barattolo di sterco di bachi essiccato. L’odore è quello del tè nero.
Lavorare con un materiale così nobile e pregiato è un grande privilegio. «La bellezza della seta mi commuove», afferma entusiasta Ueli. Quando parla di bellezza della seta, non si riferisce solo alla sua lucentezza e raffinatezza. Parla invece del complesso processo di produzione, dalla foglia di gelso al filato. Del valore multiforme del bozzolo. Della rilevanza culturale e della storia millenaria di questo prezioso materiale, per il quale sta scrivendo un nuovo capitolo insieme ad altre persone appassionate come lui.
Un entusiasmo sconfinato per le spalline, le Stratocaster e il sashimi, ma pochi nervi per le critiche sul suo dialetto della Svizzera orientale.