Perché si dice «OK» in tutto il mondo?
8/8/2022
Traduzione: Alessandra Ruggieri De Micheli
OK. Due lettere, una tonda e una spigolosa, che praticamente ognuno di noi interpreta con «tutto bene». Una parola che è diventata virale 183 anni fa.
Se digito «OK» nella mia casella di ricerca di WhatsApp, appaiono centinaia di risultati, nonostante il fatto che il primo dei messaggi in lista risalga solo alla fine di marzo di quest'anno. I messaggi degli anni precedenti sono rimasti nel mio vecchio cellulare, che a sua volta è nelle mani di un fantomatico ladro a Johannesburg.
Ma è evidente che «OK» venga usato incredibilmente spesso. Non solo da me e dai miei amici in forma scritta, ma anche in canzoni, conversazioni e film. È un’espressione che si usa dappertutto. Secondo una breve ricerca su Internet, si tratta della parola più famosa al mondo.
Ma perché?
L'origine è stata a lungo dibattuta tra i linguisti. Secondo una vecchia teoria, il termine sarebbe stato introdotto negli Stati Uniti dagli schiavi dell'Africa occidentale, perché in wolof la parola «woukey» significa «tutto bene». Un altro tentativo di interpretazione si basa sulla presunta mancanza di abilità ortografica degli agenti di frontiera statunitensi, che avrebbero segnato i bagagli in regola con l'abbreviazione «OK» per «oll klear».
Memes dall'anno 1839
Eppure, oggi si ipotizza un'origine diversa, anch’essa attribuita a un errore di battitura. L'etimologo Allen Walker Read avrebbe trovato un articolo di giornale del «Boston Morning Post» risalente al 29 marzo 1839 con la frase: «He … would have the ‘contribution box’, et ceteras, o.k. – all correct – and cause the corks to fly, like sparks, upward».
Ovviamente, «all correct» andrebbe abbreviato in «AC». Ma la giovane élite dell'epoca trovava molto divertente abbreviare le espressioni in modo grammaticalmente scorretto. Ad esempio, in vari articoli di giornale statunitensi dell’epoca si usava «KG» come abbreviazione di «Know Go», l'ortografia errata di «No Go», oppure «OW» per «oll wright», cioè «all right». Eppure, solo «OK» sarebbe resistito fino ad oggi.
Ciò si deve a Martin Van Buren, che si candidò per la rielezione alla presidenza nel 1840. I suoi sostenitori lo chiamavano anche Old Kinderhook, suo luogo di nascita, che si abbrevia con? Con «OK», ovviamente. In occasione della campagna, in tutto il paese si sarebbero formati i cosiddetti «OK club» che giocavano sui due significati delle due lettere per dire: «Old Kinderhook è ok».
Van Buren perse contro il suo concorrente William Henry Harrison, ma aiutò il trionfo della parola «OK». Presto tutti negli Stati Uniti avrebbero conosciuto questa espressione, che ritroviamo in libri, telegrammi e film. Con la crescente globalizzazione e la popolarità della cultura americana, la parola si sta facendo strada anche nei vocabolari di paesi europei, asiatici, africani, oceanici e sudamericani.
Il gesto della parola
Nel 1969, mentre il mondo attendeva con ansia il primo sbarco sulla Luna con equipaggio, Buzz Aldrin disse «Ok, engine stop» prima ancora di parlare di Houston e del grande passo per l'umanità. La parola ha persino uno specifico gesto: in paesi come la Svizzera, la Germania, gli Stati Uniti, o in generale nel linguaggio subacqueo, se il pollice e l’indice vengono uniti a mo' di anello, significa che «va tutto bene». Ma se mostri lo stesso gesto in Turchia, in Grecia o in Brasile, non farai certo amicizia, perché significa «stronzo». Dal 2017 il gesto è stato utilizzato anche negli ambienti di estrema destra per simboleggiare il «suprematismo bianco» (White Power) ed è stato quindi inserito nel database dei simboli di odio dell'American Anti-Defamation League (ADL).
Fortunatamente, non vi è traccia di odio nelle mie chat di WhatsApp. Eppure, in certi casi una risposta con un «OK» a sé stante potrebbe essere motivo di preoccupazione. Perché, purtroppo, potrebbe non significare che va tutto bene, ma piuttosto che la controparte virtuale si senta leggermente irritata.
Ampliare i miei orizzonti: si riassume così la mia vita. Sono curiosa di conoscere e imparare cose nuove. Le nuove esperienze si nascondono ovunque: nei viaggi, nei libri, in cucina, nei film o nel fai da te.