Trent’anni di «Wolfenstein 3D»: il precursore degli sparatutto che fece scandalo
Retroscena

Trent’anni di «Wolfenstein 3D»: il precursore degli sparatutto che fece scandalo

PC Games
26/4/2022
Traduzione: Martina Russo

Da controverso sparatutto alla rinascita del marchio per merito dello sviluppatore svedese Machine Games. In occasione del trentennale di «Wolfenstein 3D», ripercorriamo la storia della leggendaria serie «Wolfenstein».


Questo articolo è stato scritto dal nostro partner «PC Games». Qui trovi l’articolo originale (in lingua tedesca) di OIaf Bleich, Benedikt Plass-Fliessenkämpfer e Lukas Schmid.


Molti ignorano che la serie «Wolfenstein» non è iniziata con «Wolfenstein 3D». Il «3D» nel titolo, infatti, non descrive soltanto la forma di rappresentazione moderna del gioco, ma si riferisce anche alla terza parte della serie. L’origine della serie, in realtà, risale ai primi anni ’80, per merito di Muse Software. Oltre ai videogiochi, l’azienda americana fondata nel 1978 da Ed Zaron e Silas S. Warner sviluppava anche classici software destinati agli utenti domestici, come il programma di elaborazione testi Super-Text. Warner ebbe l'idea di un gioco dove «un tizio doveva correre di stanza in stanza».

Detta così, non sembra un concetto particolarmente geniale e non c’è da meravigliarsi se inizialmente non ebbe seguito. Fu solo quando Warner vide «I cannoni di Navarone», film di guerra del 1961 con protagonisti Gregory Peck e Anthony Quinn, e nello stesso giorno testò il gioco d'azione Berzerk, che si sviluppò l’idea del progetto. In «Castle Wolfenstein» il giocatore assumeva il ruolo di un soldato americano catturato dai nazisti che doveva evadere dalle mura del castello in questione servendosi delle armi. Il gioco includeva già elementi di azione e anche di stealth molto rudimentali, ed ebbe quindi una grande influenza sull’intero genere.

Il successo iniziale e il tramonto di «Wolfenstein»

Warner sviluppò anche un generatore casuale che, all’inizio di una nuova partita, modificava la disposizione delle circa 60 stanze. Interessante notare che già quella volta vennero utilizzate dei campioni di voci che Warner registrò con il software The Voice di proprietà della Muse. Ecco quindi l’origine di alcune delle note espressioni del gioco che ricordiamo tutti. «Castle Wolfenstein» uscì nel settembre 1981 per Apple II, ma successivamente furono prodotte, tra le altre, anche versioni per Commodore 64 e Atari 400/800. Fino al 1983 ne erano state vendute circa 50 000 copie.

Muscoli in bella mostra e armi spianate: ecco la copertina della versione USA di «Wolfenstein 3D».
Muscoli in bella mostra e armi spianate: ecco la copertina della versione USA di «Wolfenstein 3D».

Il gioco successivo, pubblicato nel 1985, continuava la storia. Questa volta c’era da far saltare in aria Adolf Hitler, nascosto in un bunker a Berlino, con una bomba che andava prima conquistata. I creatori vollero introdurre forzatamente degli elementi stealth, ad esempio sostituendo le granate con silenziosi pugnali. Era anche possibile nascondere i nemici morti.

Tutte cose, però, che non bastarono a garantire il successo atteso al gioco, i cui contenuti erano ancora troppo statici. A quei tempi Muse Software era comunque già in grosse difficoltà finanziarie e per questo fu costretta a lasciare a casa gran parte del personale. Mentre Warner passava a Microprose, nel 1987 la Muse Software chiudeva i battenti.

«Wolfenstein 3D»: lo sparatutto dello scandalo

Dopo la bancarotta della Muse il marchio «Castle Wolfenstein» scomparve dal mercato, ma un giovane team di sviluppatori composto da ex collaboratori della Softdisk non se l’era dimenticato: così nacque id Software. Questa società americana fondata il 1 febbraio 1991 da John e Adrian Carmack, John Romero e Tim Hall aveva goduto di un successo precoce con la serie Commander Keen ed era alla ricerca di una nuova sfida.

Nacque allora l’idea di reinterpretare «Castle Wolfenstein». Non era però chiaro a chi appartenesse la licenza dopo la scomparsa di Muse Software. Fu chiamato Silas Warner, che creò il contatto. E fu così che, alla fine, id Software riuscì a comprare la licenza di «Wolfenstein» per 5000 dollari. Se ci pensiamo oggi, un affare pazzesco!

I lavori per «Wolfenstein 3D» iniziarono a metà gennaio 1992. Come base si era presa la tecnica di Catacomb 3D, uscito a novembre 1991, che però allora offriva ancora 16 colori e una risoluzione EGA. Adrian Carmack, lead artist, assunse la direzione della parte creativa e visuale elaborando immagini sprite in 2D in 16 colori.

Tuttavia fu subito evidente che, a causa dell’ambiente in 3D, un semplice sprite non sarebbe bastato. Bisognava inserire delle animazioni per mostrare le figure in movimento da tutte le direzioni: id Software aveva bisogno di una mano. In soccorso arrivò nella persona di Jim Norwood, già sviluppatore software alla Apogee, che qui assunse anche la direzione artistica. Norwood propose di passare da EGA a VGA e quindi anche da 16 a 256 colori. Questo avrebbe consentito una maggiore libertà nella creazione dei modelli dei personaggi e dei livelli. In particolare, id Software avrebbe avuto molte più opzioni a disposizione proprio nella creazione della grafica delle ambientazioni.

Ma quella non fu l’unica innovazione tecnica. Si pensò anche di utilizzare l’allora modernissima tecnologia sound blaster per integrare dei campioni di voci come nell’originale. Come rumori di sottofondo non potevano mancare, naturalmente, anche i suoni prodotti delle armi, molto forti per gli standard d’allora. Nel set dei livelli TED5 era inoltre possibile creare delle cosiddette «sound zones» e chiudere così alcune aree sulle mappe. In pratica questo significa che, anche sparando all’impazzata nella stanza A, non si mettevano in allarme le guardie nella stanza B. Questo impediva che gli avversari gestiti dal computer, nel peggiore dei casi, perdessero la loro posizione tutti in una volta e alla fine il livello fosse vuoto.

Il capostipite degli sparatutto in modello shareware

Agli inizi il gameplay di «Wolfenstein 3D» era molto simile a quello dei suoi due predecessori. Durante la Game Developers Conference del 2022 John Romero ha dichiarato che inizialmente erano incluse ancora funzioni come «la ricerca dei corpi, la possibilità di trascinare via i soldati in modo che altri non li vedessero e potessero insospettirsi e l’irruzione in negozi o armadi».

«Wolfenstein 3D» uscì come prodotto shareware per il quale si potevano acquistare diversi pacchetti di espansione. A ogni nuovo capitolo o episodio entravano in scena anche nuovi tipi di avversari.
«Wolfenstein 3D» uscì come prodotto shareware per il quale si potevano acquistare diversi pacchetti di espansione. A ogni nuovo capitolo o episodio entravano in scena anche nuovi tipi di avversari.

Ben presto, però, fu evidente che le maggiori soddisfazioni per gli sviluppatori sarebbero arrivate dal gameplay «Run'n'Gun». «Per tutto il tempo in cui lavori allo sviluppo di un gioco cerchi di capire cos’è che fa divertire. E a volte non sono le caratteristiche che ti aspetteresti. Devi metterti in «ascolto» del gioco. Il divertimento in «Wolfenstein» arrivava dalle corse veloci e dalle sparatorie incredibilmente brutali. Il suono delle mitragliatrici, le grida di dolore e i lamenti di chi sta morendo... queste cose erano la vera anima del gioco», spiega Romero trionfante. Tutti gli elementi superflui che avrebbero potuto rallentare il gameplay vennero eliminati dal gioco uno dopo l’altro. Come eroe del gioco debuttò William Joseph Blazkowicz, detto «BJ», un ranger dell’esercito americano incaricato di uccidere Adolf Hitler, che si troverà di fronte alla fine del gioco sotto forma di cyborg. Anche se i titoli successivi della serie introdussero una linea temporale alternativa per «Wolfenstein», Blazkowicz resta sempre il personaggio principale, tranne in «Wolfenstein: Enemy Territory» (2003).

Le animazioni apparivano relativamente dettagliate. Ma l’ambiente 3D richiedeva anche dei trucchetti grafici aggiuntivi, ad esempio per rappresentare i nemici che cadevano.
Le animazioni apparivano relativamente dettagliate. Ma l’ambiente 3D richiedeva anche dei trucchetti grafici aggiuntivi, ad esempio per rappresentare i nemici che cadevano.

La storia dello sviluppo di «Wolfenstein 3D» è ricca di aneddoti interessanti. Ad esempio il fatto che Sierra Online e id Software erano stati sul punto di collaborare, ma poi andarono ognuno per la sua strada per inconciliabilità sugli aspetti economici.

Durante lo sviluppo di «Wolfenstein» id Software si era anche trasferita dal freddo Wisconsin nella soleggiata Dallas, in Texas. In quel periodo il team centrale, poi composto da otto persone, fece il possibile per mantenere una stretta collaborazione, ben consapevole del fatto che stava nascendo qualcosa di speciale.

Diversamente dalle produzioni attuali, però, «Wolfenstein 3D» non uscì come un’unica versione completa. Quella volta si puntò invece sul modello shareware. La prima versione poteva essere copiata liberamente e aveva la funzione di ingolosire i giocatori.

«La nostra idea era di pubblicare prima lo shareware e poi di iniziare a vendere. Nel frattempo avremmo finalmente terminato i due capitoli che ancora mancavano. Dovevamo finire ancora i 20 livelli prima di poterli rilasciare agli utenti», spiega John Romero.

Scott Miller, fondatore di Apogee, sviluppò un modello di vendita completo, con varie fasce di prezzo: con 35 dollari i giocatori ricevevano la trilogia con 30 livelli, con l’aggiunta di 15 dollari ottenevano un’altra trilogia con 30 livelli e con altri 10 dollari anche un manuale con informazioni dettagliate sui 60 livelli.

Per il team erano arrivate le dure settimane del crunch time, durante le quali gli operatori dovevano sviluppare, tra le altre cose, anche le routine di installazione e di compressione dei file. Quella volta i giochi venivano ancora venduti sui dischetti e non si potevano scaricare comodamente da internet. «Wolfenstein 3D» vide la luce il 5 maggio 1992, dopo un’intera nottata di lavoro, nello stesso giorno in cui Adrian Carmack compì 33 anni. Romero si ricorda bene di quel momento: «Uscimmo dall'ufficio distrutti, ma con la certezza che tutto era cambiato.»

Le polemiche e il sequestro

«Wolfenstein 3D» uscì prima come gioco shareware, raggiungendo così un vasto pubblico. Una grossa fetta dei suoi utenti era così entusiasta di questo sparatutto che acquistò il pacchetto completo, con tutti i livelli e il manuale. Apogee riferisce che alla fine del 1993 erano state distribuite oltre 100 000 versioni del gioco.

I singoli episodi erano contraddistinti anche da delle pareti con texture diverse. I tipi di nemici, invece, erano solo leggermente diversi.
I singoli episodi erano contraddistinti anche da delle pareti con texture diverse. I tipi di nemici, invece, erano solo leggermente diversi.

Nel 1995 furono vendute 250 000 versioni, per un giro d'affari di due milioni e mezzo di dollari. Il 20% dei ricavi proveniva da mercati non americani. In Germania il gioco veniva spesso venduto sottobanco, se non addirittura distribuito sotto forma di copie pirate illegali. Con «Wolfenstein 3D» e «Spear of Destiny», anch’esso messo all’indice in Germania, id Software ottenne un incredibile successo finanziario ma acquisì anche il know-how tecnico necessario per realizzare il prossimo grande successo nella categoria sparatutto: Doom.

In Germania, però, «Wolfenstein 3D» finì ben presto sotto il fuoco incrociato delle autorità di tutela dei minori. Il 25 gennaio 1994 il gioco fu sequestrato dal tribunale locale di Monaco e da quello di Tiergarten. Il motivo, però, non era la rappresentazione di simboli anticostituzionali come la croce uncinata.

Grazie alla sound blaster, i suoni prodotti dalle armi erano in anticipo sui tempi e contribuivano enormemente al fascino del gioco.
Grazie alla sound blaster, i suoni prodotti dalle armi erano in anticipo sui tempi e contribuivano enormemente al fascino del gioco.

La motivazione della sentenza chiamava in causa, piuttosto, la rappresentazione eccessiva della violenza e la «l’esaltazione dell’idea di giustizia privata intrinseca nel gioco e della valutazione e considerazione positiva di scene di morte realizzate in modo sensazionalistico».

Quattro anni dopo «Wolfenstein 3D» torna alla ribalta sui media per la simbologia nazista utilizzata. Un «appartenente alla scena nazionalsocialista» aveva utilizzato lo sparatutto e i suoi scenari caratterizzati da croci uncinate, ritratti del Führer e l’inno del partito nazista nel menu principale come oggetto per la propaganda nazista e li aveva distribuiti tramite il suo forum.

L’Oberlandesgericht di Francoforte volle condannare l’estrema destra, ma l’onda d’urto della sentenza colpì soprattutto il settore dei videogiochi. In questo caso i giudici non avevano applicato la clausola di adeguatezza sociale che consente l’uso di questi simboli e motivi per fini artistici.

Questa sentenza ebbe un forte impatto sugli sviluppatori e sui distributori di giochi per computer e videogiochi e fu il motivo per cui in Germania per decenni fu necessario modificare i giochi che presentavano croci uncinate e motivi analoghi. Il sequestro di «Wolfenstein 3D» e la sua messa all’indice in Germania avvenne solo nell’autunno 2019.

Nuovo inizio con MachineGames

L’intenzione di fare di Doom un successo ancora più grande di «Wolfenstein 3D» modificò le priorità alla id Software. Venne trasferita la licenza a sviluppatori esterni, mantenendo solo il controllo della produzione. «Return to Castle Wolfenstein» uscito nel 2001 fu sviluppato dalla Gray Matter Interactive insieme alla Nerve Software e in Germania è tuttora all’indice.

La prevista espansione della campagna per single-player, tuttavia, non arrivò. La versione di «Wolfenstein: Enemy Territory» per giocatore singolo venne posticipata al 2003 a causa di problemi durante lo sviluppo. id Software e gli altri sviluppatori, Splash Damage e Publisher Activision, non rinunciarono però al progetto. Al suo posto pubblicarono gratuitamente la parte multiplayer già finita in versione download. Lo sparatutto tattico per molti anni fu considerato un’alternativa a Counter Strike e divenne molto popolare tra gli appassionati di e-sport e di giochi online. «Wolfenstein», uscito nel 2009 e sviluppato da Raven Software, fu messo all’indice nella sua versione originale e sequestrato in tutta la Germania. Una versione tedesca venne invece ritirata.

È questo punto che inizia la crisi di «Wolfenstein», la cui fama passata diventa ormai un ricordo sempre più lontano. In quello stesso periodo Zenimax Media, la casa madre di Bethesda, acquistò id Software e quindi anche il marchio «Wolfenstein». Mentre id lavorava a un nuovo orientamento di Doom, allo studio svedese Studio Machine Games viene dato l’incarico di realizzare un reboot della serie. Jens Matthies, co-fondatore dello studio e direttore creativo di «Wolfenstein: The New Order» spiega a PC Gamer il loro approccio: «Siamo partiti da «Wolfenstein 3D». Perché quella è la fonte originale nonché l’interpretazione più libera di «Wolfenstein». In fin dei conti, è stato sviluppato da un paio di ragazzi in cantina, senza alcuna ambizione di produrre vera arte. Hanno messo insieme una serie di sciocchezze che pensavano potessero far passare qualche ora di divertimento ed è proprio in questo che risiede la loro forza».

L’originale è rimasto quindi la fonte di ispirazione principale; BJ Blazkowicz è stato trasformato in un soldato poco loquace e stanco della guerra che, dopo essere fuggito dal castello di Wolfenstein, va in coma e si risveglia di colpo in un mondo governato dai nazisti. «Quando sviluppi un gioco della serie Wolfenstein, ti tocca interagire per forza con i nazisti. È un dato di fatto che non puoi evitare. La questione è, tuttavia, come rendere la lotta contro i nazisti il più spettacolare e memorabile possibile. Anche se i nazisti del gioco sono estremamente stilizzati, si basano comunque su un’ideologia reale. Se non avessimo trattato questo aspetto in modo così chiaro, avremmo rischiato di banalizzare gli elementi di questa ideologia», prosegue.

«Wolfenstein 3D» associa la scelta del grado di difficoltà a un ritratto corrispondente di BJ Blazkowicz. id Software ha ripreso questo tipo di rappresentazione anche in Doom.
«Wolfenstein 3D» associa la scelta del grado di difficoltà a un ritratto corrispondente di BJ Blazkowicz. id Software ha ripreso questo tipo di rappresentazione anche in Doom.

«È un dato di fatto che non puoi evitare. La questione è, tuttavia, come rendere la lotta contro i nazisti il più spettacolare e memorabile possibile. Anche se i nazisti del gioco sono estremamente stilizzati, si basano comunque su un’ideologia reale. Se non avessimo trattato questo aspetto in modo così chiaro, avremmo rischiato di banalizzare gli elementi di questa ideologia», prosegue.

Il coronamento finale: BJ Blazkowicz combatte anche contro una versione cyborg di Adolf Hitler. Quando Hitler cade a terra, grida «Eva, addio».
Il coronamento finale: BJ Blazkowicz combatte anche contro una versione cyborg di Adolf Hitler. Quando Hitler cade a terra, grida «Eva, addio».

«Sei sul campo di battaglia e combatti contro i nazisti... ma a volte devi semplicemente portare un vassoio con del caffè e servirlo. È fantastico! Secondo me queste cose ancorano tutto ciò che succede alla realtà». In Germania però il gioco si svolge in una forma modificata: BJ Blazkowicz combatte contro «il regime» e anche tutta la simbologia è stata modificata.

«Wolfenstein: The New Order (2014)» e «Wolfenstein 2: The New Colossus» sono diventati due dei migliori sparatutto story-driven dei nostri tempi, particolarmente apprezzati per la loro tecnica raffinata, il gameplay avvincente e l’ambizione narrativa.

«Wolfenstein: The Old Blood» del 2016, lo spin-off «Wolfenstein: Youngblood» in modalità cooperativa (2019) e l’adattamento VR «Wolfenstein: Cyberpilot» (2019) non sono allo stesso livello in termini di qualità. Gli ultimi due titoli, però, furono i primi della serie a rientrare nella clausola di adeguatezza sociale e che quindi poterono utilizzare di nuovo croci uncinate e motivi simili anche in Germania.

«Wolfenstein 3D» si rifà a una storia trentennale che è stata riproposta negli attuali adattamenti di MachineGames. Come sarebbe stato il mondo dei videogiochi se «Wolfenstein 3D» non avesse avuto tutto quel successo? Anche se oggi molti considerano Doom il vero motore della rivoluzione degli sparattutto, è innegabile il ruolo altrettanto fondamentale svolto da «Wolfenstein 3D».

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