Una visita a Game Two, dove l’originalità è di casa
I servizi video di Game Two sono leggendari. Settimana dopo settimana, danno informazioni sugli ultimi videogiochi con competenza, creatività e soprattutto tantissimo umorismo. Abbiamo visitato la redazione cult di Amburgo e li abbiamo seguiti mentre giravano uno dei loro video.
Sono sicuro di non essere stato l’unico a cui è scesa una lacrima durante l’episodio 307 di Game One. Sentire Bob Dylan alla fine che canta «The Times They Are a-Changin’» fa venire il magone. Purtroppo, nella versione di YouTube manca la canzone originale: un altro esempio che dimostra come Viacom non abbia mai capito nulla di YouTube. Viacom è la casa madre di MTV, dove Game One è andato in onda per otto anni. Una vertenza legale tra le due aziende durata più anni ha coinvolto anche il programma sui videogame. La puntata 307 ne segnò la triste conclusione.
Per fortuna, però, solo temporaneamente. Nel 2015 Daniel Budiman, Etienne Gardé, Nils Bomhoff e Simon Krätschmer, ex star di Game One, insieme ad Arno Heinsch lanciano la Rocket Beans TV. Il nome Beans è composto dalle iniziali dei fondatori. Il primo grande format di questa emittente via Internet si chiama Game Two ed è prodotto per «funk», la rete di contenuti di ARD e ZDF. L’episodio 1 esce su YouTube il 19 novembre 2016. Nel frattempo, sono stati pubblicati 337 episodi. Da aprile 2023 è ZDFneo a finanziare le riprese settimanali. Ed è proprio a una di queste riprese che io e Domagoj Belancic abbiamo assistito a fine maggio.
Tante risate e tante ore passate in piedi
La redazione di Game Two è situata in un quartiere residenziale di Amburgo. Quando arriviamo, verso mezzogiorno, le riprese sono già iniziate. Per il pezzo sullo sparatutto free-to-play «xDefiant», c’è un video in cui «sviluppatori Ubisoft» vestiti da fighetti presentano il gioco. Nel pezzo, infarcito di anglicismi e di gergo giovanilistico, sottolineano quanto il gioco sia «fresh» e «slay» e come sia adatto alle masse grazie alle emoji e ai «dialoghi divertenti che senti nel gioco».
Il set dello sketch è una sala riunioni riconvertita. L’arredamento è stato rapidamente spostato dalla vicina zona divani. Ma non è l’unica area strapiena di roba. Il dedalo di locali della redazione è sfruttato fino all’ultimo centimetro di spazio disponibile. Le pareti sono tappezzate di finte armi, oggetti di scena sono accatastati fino al soffitto e ogni superficie libera è piena di giochi o merchandising vario.
Da tre anni lavora con loro anche la redattrice Esther Kerkhoff che questa settimana non è solo impegnata a preparare un pezzo su «The Rogue Prince of Persia», ma sarà anche davanti alla telecamera come conduttrice e attrice. Ha iniziato a lavorare con loro proprio durante la pandemia, il che ha complicato un po’ gli esordi. Il successo di Game Two sta proprio nella stretta collaborazione: «Il lavoro di squadra è fondamentale per noi. C’è un’ottima sintonia di gruppo e comunichiamo spesso e apertamente tra noi», racconta la trentenne. Tra l’obbligo di indossare la mascherina e lo smart working da casa, non è sempre stato facile. Ma nonostante tutto, poco dopo l’assunzione l’ex stagista è riuscita a produrre il suo primo servizio. Nei panni di una bimba di 9 anni, Esther ha presentato il gioco di ruolo «Grandia 2» nella rubrica «Ausgegraben» (Disseppelliti).
Nel video di oggi, Esther fa solo la comparsa. Carsten Grauel, meglio conosciuto come Trant, ha ideato uno sketch su «Hellblade 2». Nel gioco in questione ti trovi spesso a passare per spazi angusti: un cliché visto e stravisto nei videogame. Per rappresentarlo, il direttore creativo Jasper Ihlenfeldt cerca di infilarsi tra il muro e un autobus parcheggiato vicinissimo. «Devo incipriarmi? Non c’è niente che si può fare per la faccia?» chiede scherzosamente alla truccatrice. Non importa quanto lavoro c’è da fare o quanto sia stressante: sul set c’è sempre tempo per divertirsi un po’.
La scena con Jasper occuperà tra i 30 e i 60 secondi del servizio. Ma le riprese durano più di un’ora e mezza. Si verificano più e più volte le impostazioni, si ridiscutono le fasi o si improvvisano battute divertenti. «Questa è la nostra normalità», spiega Esther con un sorriso. E si riferisce sia alle battute che alle riprese. È vero che per ogni servizio è previsto un copione, ma ogni redattrice e redattore fa le cose un po’ come vuole. L’improvvisazione, infatti, è un aspetto importante del fascino di questo programma. E ci sta anche che le riprese siano interrotte più volte da genitori che arrivano con dei passeggini. Infatti, al piano terra dell’edificio che ospita la redazione c’è anche un asilo nido e l’autobus di Game Two sta bloccando l’ingresso. Ma tutti gli interessati lo sanno e nessuno se la prende più di tanto.
Il finale della scena prevede che Japser riesca finalmente a passare dietro al veicolo. Nel frattempo, però, si è assembrato un gruppo di curiosi che assiste a questo spettacolo unico nel suo genere. La folla di astanti vuole immortalare con foto e video l’impresa di Jasper che passa strisciando nello stretto pertugio. Anche io e Domi ci uniamo a quelle comparse assetate di emozioni forti. Ma appena tiro fuori il cellulare per fare qualche foto del servizio, l’operatrice alla telecamera Ellen Bolz mi urla: «Fermo, fermo. Il logo di Google sul cellulare non va bene». Infatti Game Two è un programma della televisione pubblica, per cui sono vietati i loghi di prodotti e simili. Esther mi presta subito il suo cellulare, il cui marchio è irriconoscibile grazie alla cover neutra.
Circa sei ciak più tardi, la scena è finita e io ho realizzato un mio sogno segreto. Da quando Game One ha avviato le trasmissioni, nel lontano 2008, non mi sono mai perso un episodio. E adesso sono finito addirittura nel programma, anche se solo per pochi secondi.
Come una grande famiglia
Ma non c’è tempo per soffermarsi sui ricordi. Il programma delle riprese è molto fitto e la giornata sta lentamente volgendo al termine. Di solito i servizi vengono girati il mercoledì. Ma vengono discussi per la prima volta il lunedì della settimana precedente. Il venerdì è la data di consegna e, se tutto va bene, è anche il giorno di ripresa dei servizi successivi. Tuttavia, gli imprevisti sono all’ordine del giorno, così come le gag che non fanno ridere. Com’è successo con la prima versione del servizio sul disastroso gioco «Gollum».
L’idea l’aveva avuta Tim Heinke, il capo di Esther. Disgraziatamente, nella settimana in cui si decideva tutto era in ferie. «Ho pensato, cavolo, non so a chi chiedere adesso e puntualmente in fase di montaggio ci siamo accorti che non funzionava. Non potevamo trasmetterlo così ed era già giovedì. Ma con l’aiuto di due colleghi e qualche miglioria siamo riusciti a salvare il servizio», ricorda Esther.
Anche il fatto che siano rimasti a lavorare in ufficio fino alle undici di sera per rimediare, fa parte del gioco. «Il nostro lavoro viene spesso romanticizzato. Spesso mi sento dire: giochi ai videogame e ti danno anche dei soldi. Cosa può esserci di meglio? Ma in realtà, c’è molto di più. I videogame più lunghi possono richiederti tranquillamente anche 60 ore di gioco o più. Dopo di che devi scrivere i testi, farti venire in mente delle idee per il servizio, scrivere il copione, fare le riprese, montare il tutto e rivederti 40-50 ore di materiale registrato». Il tutto comporta un bel po’ di stress, anche se a volte è uno stress piacevole, come sottolinea Esther ridendo.
Il salvataggio in extremis a sera inoltrata dimostra anche quanto sia forte lo spirito di squadra alla Game Two. «Siamo come una grande famiglia. Quando la sera me ne vado per ultima e spengo la luce mi ritrovo a pensare: questo è il mio lavoro. È davvero bellissimo», spiega Esther. E il modo in cui sorride non lascia alcun dubbio su quanto apprezzi il suo lavoro e i suoi colleghi.
Ma le «api operose» te le danno o è una roba che si mangia?
Nel frattempo, insieme alla troupe di Game Two siamo arrivati a piedi fino allo studio, che si trova a soli cinque minuti di distanza. E lì c’è anche il resto del team Rocket Beans. Oggi l’azienda dà lavoro a quasi 120 persone. Come prima cosa noto che lo studio è molto più piccolo di come appare nel programma: «Lo dicono tutti», conferma Jasper con un sorriso mentre prepara il set per la presentazione. E penso esattamente la stessa cosa anche quando vedo entrare dalla porta Simon, il volto storico di Game One. Ma questa volta evito di commentare.
Oggi Simon conduce il programma insieme a Esther. Per il resto, così come gli altri fondatori Etienne, Budi e Nils, ormai lo si trova solo raramente in prima linea alla Game Two a registrare sketch indimenticabili come «Call of Mutti». Le giovani leve realizzano invece altri formati come «Almost Daily», «Bohndesliga» o Let’s Play.
«Adesso è più complicato fare le riprese, perché è difficile programmare i nostri impegni. C’è chi ha problemi con i figli, nel mio caso ci sono i treni poco affidabili: c’è sempre qualcosa che non va. Adesso siamo più un dosso che una corsia di accelerazione», mi svela l’intrattenitore 45enne. Ma dopo 16 anni, che è il periodo di tempo nel quale sono andati in onda complessivamente Game One e Game Two, non è più necessario essere sempre presenti. I quattro fondatori, che si conoscono sin dai tempi di GIGA, ormai partecipano attivamente solo a episodi celebrativi e cose del genere. Ma a Simon manca il travestirsi e scherzare sul set. «Ovvio che preferirei andarmene a zonzo con una bella armatura da cavaliere a fare un po’ di casino». L’unica cosa che non mi è mai piaciuta erano i lunghi tempi di attesa tra una ripresa e l’altra».
Cosa che non succede quando ti occupi della conduzione. Grazie al gobbo, di solito adesso te la cavi in meno di mezz’ora per l’intero processo. Anche in base a quanto spesso le conduttrici o i conduttori si impappinano o di quanto viene ritoccato il testo. Gli host dei programmi non si scrivono da soli gli script ed è per questo che potrebbero esserci delle domande tipo: «Ma le api operose è una roba che si mangia?» Esther si riferisce al servizio su «xDefiant», in cui si menziona che Ubisoft si sarebbe meritata una di quegli adesivi con le apine che ti danno all’asilo. «No», dice Jasper, «te le danno solo sugli adesivi a scuola». Poi, rivolto al tecnico audio Felix Farkas, aggiunge strizzando l’occhio: «Naturalmente a te non le hanno mai date». Si ride davvero un sacco, sia davanti che dietro la telecamera.
Dopo essersi impappinata per due volte di seguito, cambia la frase e usa «stelline operose» («Fleisssternchen» invece di «Fleissbienchen» in tedesco). Anche se Esther, detto da lei, ha un problema di dizione quando pronuncia SZ. Che però non si nota assolutamente. Durante la presentazione di «The Rogue Prince of Persia», un gioco roguelike in cui devi regolarmente ripartire dall’inizio, il team improvvisa di nuovo. Simon propone di ricominciare da capo la presentazione, proprio come succede nel gioco. Un’idea divertente che a me però sembra un po’ lunga. Chi si è occupato del montaggio evidentemente era dello stesso mio parere, perché nell’episodio finale la ripetizione manca.
Un Oscar per Jasper
Terminate le presentazioni, lo studio viene subito preparato per le riprese successive. Jasper scosta una tenda e srotola lo spesso tappeto grigio. Alle sue spalle compare uno schermo verde. Ma prima di questo Sebastian Tyzak consegnerà l’Oscar per la categoria «Miglior passaggio in un pertugio» a Jasper, che qui chiamano semplicemente «This Guy», per la sua performance con l’autobus in pausa pranzo.
C’è però un problema: Sebastian è da solo a consegnare il premio, ma gli servono entrambe le mani per aprire la busta con il nome del vincitore. Come si fa con l’Oscar? Jasper suggerisce che potrebbe farlo comparire improvvisamente da un pilastro invisibile dietro la sua schiena. L’idea viene scartata, proprio come il mio suggerimento: una mano arriva fuori dall’inquadratura, strappa irritata la busta dalle mani di Sebastian e gliela restituisce aperta. Si sceglie invece l’opzione più semplice: Sebastian si mette l’Oscar sotto il braccio, apre la busta e consegna il trofeo a Jasper. Ma visto l’entusiasmo incontenibile di Sebastian e l’apatia simulata di Jasper, il servizio avrebbe funzionato bene con tutte e tre le soluzioni.
Anche il team dietro a Game Two meriterebbe un Oscar per i suoi fantastici servizi. Una volta ce l’avevano quasi fatta, almeno con l’equivalente tedesco per i programmi televisivi, il Grimme Prize. Hanno ricevuto una nomination a questo premio per il loro 300° episodio, ovvero un musical realizzato senza tagli (visibili). Purtroppo, l’epico episodio dell’anniversario è rimasto a bocca asciutta. Una volta però, nel 2011, quelli di Game One sono riusciti a conquistare il premio del pubblico. Forse prima o poi riusciranno ad aggiudicarsi il premio principale.
Passerà un bel po’ di tempo prima che questi nerd di Amburgo restino a corto di idee creative. E questa loro idea di programma sembra ancora unica al mondo. Chissà, magari un giorno avremo una versione in lingua straniera di Game Two. «Ci sarebbe sempre piaciuto fare una versione in inglese. La chiameremmo «Game Three» e potremmo rimasterizzare le nostre gag migliori», mi svela Simon. Io la guarderei sicuramente. A patto, però, che se ne occupi sempre la redazione di Amburgo e che la sigla sia sempre cantata con quel mix assurdo di tedesco e inglese.
Ora, però, guardiamoci il video: ma non sbattere le palpebre, perché potresti perderti l’epica apparizione televisiva di me e Domi.
Vado matto per il gaming e i gadget vari, perciò da digitec e Galaxus mi sento come nel paese della cuccagna – solo che, purtroppo, non mi viene regalato nulla. E se non sono indaffarato a svitare e riavvitare il mio PC à la Tim Taylor, per stimolarlo un po' e fargli tirare fuori gli artigli, allora mi trovi in sella del mio velocipede supermolleggiato in cerca di sentieri e adrenalina pura. La mia sete culturale la soddisfo con della cervogia fresca e con le profonde conversazioni che nascono durante le partite più frustranti dell'FC Winterthur.