I giochi di «Lost» erano penosi... e li ho amati alla follia!
Dopo il mio rewatch di «Lost» in occasione del 20° anniversario ho pensato che ne volevo ancora. Mi sono quindi rimesso a giocare ai giochi ufficiali della serie per PS3 e iPod.
Ogni anno mi viene voglia di programmare un bel rewatch della mia serie preferita in assoluto, ovvero «Lost». E così è stato anche lo scorso settembre, in occasione del 20° anniversario di «Lost». Per l’occasione, mi sono sparato tutti i 121 episodi della serie cult in quattro settimane per la quinta (o sesta?) volta. E, come dopo ogni rewatch di «Lost», mi sono sentito vuoto. Ne volevo ancora.
Lo dice bene Jack, nel finale della terza stagione: «We have to go back».
Come tutte le volte che riguardo «Lost», ho cercato di riempire il mio vuoto interiore sorbendomi varie ore di video su YouTube in cui vengono presentate e spiegate le assurde teorie sull’isola. Di solito questo mi basta per placare la mia insaziabile fame di «Lost», ma questa volta non è stato sufficiente.
Quindi ho fatto ricorso a una misura straordinaria, che in realtà conservo solo per i casi di emergenza dopo un rewatch. Ho rigiocato dall’inizio alla fine i due titoli ufficiali di «Lost»: «Lost: Via Domus» per PS3 e «Lost: The Mobile Game» per iPod.
Il motivo per cui non vorrei riprendere in mano i giochi nonostante abbia voglia di più «Lost» è semplice: so che fanno schifo. Quando «Lost» era ancora in televisione, non mi importava. Ero carico a palla e mi sono fatto andare bene, in estasi totale, qualsiasi contenuto aggiuntivo di «Lost». Brevi «mobisode» tra una stagione e l’altra, «Alternate Reality Games» con siti web interattivi, podcast con gli autori e anche i due videogiochi ufficiali.
Ma come vivrò i giochi dalla prospettiva di oggi? Saranno capaci di placare la mia fame o questa robaccia su licenza sarà un fine pasto dal retrogusto amaro? Nonostante i miei timori, mi butto a capofitto nell’avventura virtuale di «Lost». Jacob, stammi vicino.
«Lost: Via Domus» (2008): senza senso, bruttissimo eppure terribilmente cool
Inizio con il «grande» gioco «Lost: Via Domus». Era uscito a febbraio 2008, poco dopo l’inizio della quarta stagione, per PS3, Xbox 360 e PC. Il gioco è stato sviluppato da Ubisoft Montreal, che l’anno prima aveva pubblicato quel blockbuster di «Assassin’s Creed».
Nel marketing del gioco i due showrunner della serie, Damon Lindelof e Carlton Cuse, erano elencati come co-autori. All’epoca ero davvero euforico per il gioco e avevo persino comprato una PS3 apposta, o meglio, avevo convinto i miei genitori a comprarmene una.
Di cosa tratta il gioco?
Nel gioco vesti i panni di Elliott Maslow, un fotoreporter che soffre di amnesia dopo l’incidente. Il personaggio è stato sviluppato appositamente per il gioco e non compariva nella serie TV. La cosa bella è che, anche nel gioco, la storia viene raccontata usando il sistema dei flashback. Poco alla volta vengo a sapere che Elliott stava occupandosi di una storia clamorosa che riguardava la «Fondazione Hanso», l’organizzazione dietro la «Dharma Initiative».
Gli accadimenti sull’isola sono liberamente ispirati a momenti iconici della serie. Il mio obiettivo è recuperare i ricordi di Elliott e fuggire dall’isola. Una misteriosa bussola con la scritta in latino «Via Domus», che significa «la via di casa», mi indica ogni volta dove andare.
Cominciamo dalle cose negative
Già dopo pochi minuti di gioco ho avuto la conferma dei miei timori: «Lost: Via Domus» era brutto già allora e non è invecchiato bene. Di seguito i punti che mi hanno particolarmente infastidito quando ho ripreso in mano il gioco.
La storia è una schifezza assoluta.
Mi ricordo che anche all’epoca ero rimasto deluso dalla storia di Elliott, soprattutto perché in teoria nel gioco doveva esserci anche il contributo di Damon e Carlton.
In realtà i due avevano avuto poco o nulla a che fare con la storia. Si erano occupati solo della corretta rappresentazione dei vari luoghi della serie. Ma quei cialtroni della Ubisoft avevano sfruttato molto bene a livello commerciale il ridotto coinvolgimento di «Darlton».
Il grosso problema della storia è soprattutto che Elliott è una vera testa di c***o. In passato, per un reportage, aveva tradito una collega di lavoro che poi era morta per un colpo di pistola. La storia di Elliott sull’isola è, di nuovo, una copia dozzinale della storia di Michael.
Per una serie di stupide coincidenze, Elliott incontra gli «Altri». Per qualche inspiegabile motivo, questi gli promettono di aiutarlo a lasciare l’isola. Ma solo se attirerà Jack e Kate in una trappola, così da poterli rapire.
Ma per quale fottutissimo motivo? Non si sa. Diversamente dalla serie, qui sembra tutto così artificioso, improvvisato e semplicemente stupido. A differenza dei personaggi «cattivi» della serie, Elliott non ha sfaccettature interessanti. È un vero e proprio allocco ed è semplicemente antipatico.
Ma la cosa peggiore è il finale assurdo. Elliott si allontana dall’isola su una barca e viene catturato in un vortice elettromagnetico. A quanto pare, questo lo porta a viaggiare nel tempo e a entrare in una dimensione parallela. Si risveglia sull’isola il giorno dell’incidente, ma in questa realtà la sua collega di lavoro deceduta è ancora viva. Un capovolgimento del tutto inutile che non ha assolutamente nulla a che fare con i viaggi nel tempo della serie nei quali vigono regole chiare: «Whatever happened, happened», ovvero non si può cambiare il passato e il multiverso non esiste. Fine.
Mi chiedo perché Damon e Carlton abbiano permesso una cosa del genere. Del resto, dopo il lancio, il team di autori ha comunicato chiaramente che la storia del gioco non fa parte del canone della serie.
Il gameplay è stupido come la storia.
Per scoprire i segreti del passato di Elliott, devo parlare molto con i personaggi noti della serie. In teoria l’idea sarebbe anche interessante, purtroppo però le conversazioni sono spesso scritte in modo ridicolo: Elliott fa domande stupide e ottiene risposte ancora più stupide. Leggendaria l’irritante battuta di Locke sui «Banyan Trees», che è rimasta impressa nella memoria di tutti coloro che hanno giocato al gioco:
Ogni tanto devo anche trattare con i sopravvissuti del volo Oceanic 815. Per avere una torcia scambio 4 noci di cocco e 8 papaie con Sawyer. Per una pistola, il biondino vuole molto di più.
Questa è una cosa effettivamente sensata: anche nella serie Sawyer ha sempre una scorta di armi e oggetti di valore. Ma il gioco non spiega, invece, come fa ad esempio Charlie ad avere a disposizione un arsenale di armi e munizioni o Michael a tenere con sé 15 torce.
Più volte devo fare spedizioni nella giungla o in grotte buie. Queste sezioni trial-and-error sono estremamente fastidiose. Nelle grotte mi attaccano i pipistrelli e nella giungla mi insegue il mostro di fumo. Se non mi nascondo abbastanza velocemente nei «Banyan Trees» di Locke, vengo ucciso e devo ricominciare da capo.
In certi momenti anche gli «Altri» mi prendono di mira nella giungla: mi sparano all’impazzata dalle loro case sugli alberi. Si può sapere per quale motivo gli uomini di Ben dovrebbero spararmi? Soprattutto dopo che ho fatto un accordo con loro? Tutto questo non ha senso.
L’unico aspetto positivo del gameplay secondo me è il minigioco «Fuse». A intervalli irregolari, trovo delle cassette di fusibili in cui devo deviare le cariche elettriche. Per farlo devo usare diversi fusibili che inoltrano e riducono il flusso elettrico. Un principio di gioco sorprendentemente coinvolgente.
L’unico problema è: che cosa diavolo c’entra con «Lost»? Sembra quasi che Ubisoft abbia recuperato un concetto di minigioco seppellito da qualche parte nei sui archivi e lo abbia ficcato a forza in «Via Domus».
Il gioco ha un aspetto terribile e l’audio è pessimo.
Mentre sto esplorando le varie zone dell’isola, rilevo continui problemi di immagini a scatti e un fastidioso effetto di «screen tearing». I tempi di caricamento da un livello all’altro mi mandano fuori di testa.
I personaggi non assomigliano per niente ai modelli di riferimento e risultano spiazzanti a causa della pessima animazione. Gli occhi di Charlie sembrano quelli di un manichino senza vita. Hurley assomiglia al meme di Hagrid del gioco «Harry Potter» per PS1.
Con Jack sembra che siano state usate le impostazioni di default di un editor di personaggi: voglio un generico uomo bianco sulla trentina. Quindi ha lo stesso aspetto del 99% dei protagonisti dei videogiochi di allora. Anche con Elliott c’è lo stesso problema, pertanto lui e Jack si assomigliano troppo.
A proposito di personaggi: evidentemente non avevano abbastanza budget per il cast della serie. Solo pochi dei personaggi hanno la voce degli attori e delle attrici originali. Tra questi Ben (Michael Emerson), Desmond (Henry Ian Cusick) e Tom (M.C. Gainey). Purtroppo, sono tutti personaggi con ruoli secondari.
I ruoli più importanti sono affidati a speaker con voci simili. Alcuni hanno quindi voci abbastanza accettabili (Sayid, Locke). Per altri, il budget non è stato sufficiente nemmeno per reclutare un sostituto dalla voce che si avvicinasse all’originale. Spicca in negativo soprattutto Charlie, il cui doppiatore non cerca nemmeno di imitare l’accento e l’intonazione del personaggio. Preferirei entrare nel recinto sonar della Dharma Initiative e avere le orecchie sanguinanti piuttosto che ascoltare ’sta roba.
Per finire, le cose positive
Dopo essermi sfogato sugli aspetti negativi, fastidiosi e poco riusciti del gioco, vorrei invece parlare di quello che mi è piaciuto di «Via Domus». Ad esempio le tante location della serie TV che ho potuto visitare nel corso dell’insulsa avventura di Elliott, che è poi la parte del gioco che ha visto la determinante partecipazione di Damon e Carlton.
Per quanto il resto del gioco sia scadente, non sottolineerò mai abbastanza quanto sia bello girovagare di persona per i vari set. Esplorare la botola con il computer, raccogliere dinamite nella «Roccia Nera», fare visita a Mikhail nella stazione «Fiamma» ed esplorare l’«Idra» sulla seconda isola.
Sembra quasi che abbiano usato il 90% del tempo di sviluppo per creare questi luoghi. Sono ricchissimi di dettagli e hanno un’interattività entusiasmante. Quindi dentro la botola posso usare il computer e inserire io stesso i numeri maledetti: il mio cuore di fan di «Lost» batte all’impazzata.
Alcune location sono state ampliate anche con nuove sezioni mai viste nella serie e, secondo Damon e Carlton, fanno parte del canone ufficiale della serie. Figata fotonica.
Sono questi momenti da nerd che mi tengono incollato per le quasi sei ore di gioco, malgrado la storia assurda, il gameplay insulso e la tecnologia pessima.
Mi sento quasi come quando ho visitato i luoghi delle riprese della serie alle Hawaii, durante un tour a tema «Lost». O come quando mi sono intrufolato di nascosto nei locali degli studios per dare un’occhiata ai set e agli oggetti di scena. Fantastico. Anche solo per questo ne è valsa la pena rigiocarci.
«Lost: The Mobile Game» (2007): un breve delirio da allucinazione
Passiamo ora a «Lost: The Mobile Game». Il gioco è uscito nel gennaio 2007, dopo l’inizio della terza stagione, per i cellulari compatibili con «Java ME» e per l’iPod di Apple. Ricordo come fosse ieri: è stato il primo gioco che ho acquistato su iTunes per il mio iPod.
Il gioco è stato sviluppato da Gameloft, che all’epoca era nota soprattutto per la serie di corse «Asphalt». Come autore era indicato il produttore e autore di «Lost», Gregg Nations.
Di cosa tratta il gioco?
Diversamente da «Via Domus», nel gioco per mobile non vesto i panni di un nuovo protagonista, bensì di Jack Shephard. Lo svolgimento del gioco è vagamente ispirato a eventi iconici della serie: assisto all’uccisione del pilota da parte del mostro di fumo, all’esplosione della botola e al rapimento di Claire.
Bello, brutto, non importa
In termini puramente oggettivi «Lost: The Mobile Game» è molto peggio di «Via Domus». Ma non posso prendermela con il piccolo titolo per mobile, perché non lo prendo sul serio. In certi punti è così brutto che il suo trash estremo rasenta il sublime.
È un piccolo gioco Java, tecnicamente limitato, che posso finire in meno di un’ora – niente di più, niente di meno.
Il modo in cui è raccontata la storia sembra un delirio da allucinazione. I personaggi comunicano tra loro solo con brevi frammenti di dialogo, elementi importanti della storia sono omessi, altri sono aggiunti o ricombinati. Considerando i limiti di un progetto così circoscritto, la storia remixata di Gregg non mi sembra per niente male.
A livello grafico, fa tutto sommato una figura dignitosa per essere un gioco per mobile del 2007. Mi piacciono in particolare l’accampamento dei superstiti sulla spiaggia e la botola, realizzati con grande attenzione ai dettagli. È divertente riscoprire questi luoghi da una prospettiva così limitata.
Meno bene è il fatto che il gioco subisca continuamente pesanti rallentamenti. In particolare gli effetti del fuoco mettono a dura prova il piccolo processore dell’iPod da 80MHz. Anche gli effetti sonori sono deludenti e fastidiosi, soprattutto la pioggia, che viene riprodotta in un ciclo di due secondi intervallato da brevi silenzi.
Il gameplay... esiste. Niente di spettacolare, ma fa quello che deve fare. Controllo Jack con la ghiera cliccabile: serve un po’ di tempo per abituarsi, ma mi piace abbastanza. Corro nella giungla, sposto casse, taglio l’erba con il machete e sparo a cinghiali aggressivi.
Nemmeno i serpenti sono al riparo dalla collera di Jack. Ah giusto: chi non ricorda l’iconico episodio della serie TV in cui Jack spazza via un’intera popolazione di serpenti con la pistola? (Io no di sicuro).
L’unico animale che Jack non riesce a domare nel gioco è un’aquila selvatica che continua ad attaccarmi. Perché? E chi lo sa. Gli unici uccelli che hanno avuto un ruolo nella serie sono stati il gabbiano corriere (stagione 3, episodio 12) e il famigerato «uccello Hurley» (stagione 1, episodio 23/24).
Indipendentemente dalla qualità del gioco, sono comunque contento di essere riuscito a farlo funzionare. Usare il mio iPod, a malapena funzionante, dopo tutti questi anni, è stata una fantastica esperienza nostalgia che, «Lost» a parte, mi ha portato indietro 17 anni nel passato.
I giochi sono finiti. E ora?
Ho attuato il mio piano di emergenza e ho finito entrambi i giochi. Non mi pento della decisione. Nonostante «Lost: Via Domus» sia davvero un gioco pessimo, mi è piaciuto un sacco ripercorrere ancora una volta i set virtuali. Ecco perché quella «robaccia su licenza» ha comunque un posto ben saldo nel mio cuore di Lostie.
«Lost: The Mobile Game» è stata un’esperienza particolare, perché mi ha permesso di sperimentare un tipo di gioco per dispositivi mobili tecnicamente limitato che oggi non esiste più. Pur rasentando il trash, questo gioco mi ha fatto divertire anche solo perché è emozionante vivere «Lost» da una prospettiva così rudimentale.
E ora? Continuo a volerne ancora. Ma l’universo di «Lost» non offre molto altro da consumare. Un grande obiettivo sarebbe quello di riuscire a procurarmi in qualche modo il gioco da tavolo ufficiale di «Lost», anche se le recensioni non sono proprio positive. Cosa che comunque non mi ha impedito di provare i giochi.
Sarei anche tentato di riguardare tutto «Lost» con le scene ordinate cronologicamente. Dalla prima scena sull’isola, 2000 anni prima dell’incidente del volo Oceanic 815, all’ultima scena dopo la morte di tutti i sopravvissuti.
Ma la cosa più probabile è che mi programmi l’ennesimo rewatch. Dopo di che probabilmente rigiocherò i giochi sulle due console, nonostante tutte le riserve. Prima o poi arriverà il giorno in cui avrò saziato la mia fame e riuscirò a mettere un punto fermo a tutto questo. Come disse già Jacob nella quinta stagione, episodio 16: «It only ends once. Anything that happens before that is just progress».
Il mio amore per i videogiochi si è svegliato alla tenera età di cinque anni con il Gameboy originale ed è cresciuto a dismisura nel corso degli anni.